Friday, December 14, 2007

Nostalgia canaglia


Esistono argomenti sui quali abbiamo delle opinioni in agguato, pronte a saltar fuori in ogni momento per aggredire un pensiero che sappiamo nell'aria e che quasi desideriamo trovarci di fronte per contrastarlo: uno di questi è per me l'obsolescenza della fotografia analogica.
Il fotografo canadese Michel Campeau ha pubblicato su Aperture un portfolio dal titolo Darkroom, con un sottotitolo la cui traduzione in italiano è Sull'obsolescenza del procedimento con la gelatina ai sali d'argento nell'epoca della riproduzione digitale.
Il portfolio di Campeau mostra immagini di lavandini incrostati, detriti fotografici assortiti e ingranditori che somigliano a buffi totem. Insomma, i resti di una civiltà che avrebbe fatto cose strane con oggetti strani, non rendendosi conto che all'orizzonte ci sarebbe stato il modo di fare cose più belle e in un modo più elegante. Quello che mi ha colpito del lavoro di Campeau è l'assenza di immagini che raccontassero i luoghi in cui questi buffi oggetti venivano usati, poichè il lavoro resta fissato sui dettagli e sugli oggetti isolati dal contesto; mi ha colpito anche l'assenza di immagini di oggetti che, per quanto deperiti, fossero di qualità, come se l'analogico volesse dire quella bizzarria che ti fa usare cose non perchè utili ma perchè strampalate, stregonesche. L'unico ingranditore mostrato, un Leica, somiglia a un uovo di Pasqua e ha sullo sfondo una carta da parati demenziale.
Il lavoro è stato editato sotto la supervisione di Martin Parr (...), che ci regala queste parole sul lavoro:

In pochi anni, questi luoghi saranno inevitabilmente estinti. Chi d'altronde vorrebbe rinchiudersi e giocare con prodotti chimici, quando oggi una stampante a getto d'inchiostro può dare una stampa di qualità uguale a quella di una stampa analogica tradizionale (e di una durata di conservazione superiore) [...]

Ma, al di là del soggetto, perchè queste immagini sono così forti? È la loro semplicità, la forma incisiva e - scattate a una distanza ravvicinata - la loro intimità. I dettagli, esaminati da vicino, dicono più di quello che una veduta più ampia potrebbe fare.

(Nostra traduzione)

(qui altre informazioni)

'Soggetto e al di là di esso', 'semplicità', 'intimità' e, ovviamente, il far vedere meno che farebbe vedere di più. Siamo alle solite...
Campeau stesso poi dice, molto onestamente, che questo lavoro ha a che vedere con 'il crollo e la presa di una distanza da una fase del mio lavoro, sperimentando quel che resta dell'immaginazione e della memoria'(nostra traduzione).
Certo che, con le immagini con cui rappresenta ciò che per lui è la memoria della camera oscura, fa pensare a chi, dopo la fine di una lunga storia d'amore, dicesse 'Incredibile, non riesco a capire come ho fatto a stare tutto quel tempo con quella persona'.

There are subjects on which we have a strong opinion hiding inside ourselves, ready to come out at any moment to attack some idea that we know it’s in the air and we’d almost wish to find this idea in front of us to oppose it: one of these thoughts is for me the obsolence of analog photography.
Canadian photographer Michel Campeau recently published on Aperture a portfolio called Darkroom, with a subtitle reading 'On the obsolence of the silver gelatin process in the age of the digital reproduction'.
Campeau’s portfolio shows images of rusted sinks, various photographic debris and enlargers looking like funny totems. Short, something like the remains of a civilization who did strange things with strange objects, not realising that one way to do better things in a more elegant fashion was coming. What really struck me of Campeau’s work is the absence of images trying to show and represent the places where these funny objects were used, since the work is fixed on details and objects isolated from any context; I was also struck by the absence of objects that, even if deteriorated, could show any quality, as if analog could only just mean the very oddness that makes you use things just because they’re weird and not because they’re useful, as if witchlike. An enlarger shown in a picture is a close shot of a Leica looking like an Easter egg, with a background of cheap wallpaper.
The work was edited under the supervision of Martin Parr (…), who gives us these words about it:

'In a few years’ time, these places will inevitably be extinct. Who in their right mind would want to lock themselves away and play with chemicals, when today an inkjet printer can render a print of quality equal to that of a traditional analogue print (and of superior archival durability)?'

'But apart from their subject, why are these images so strong? It is their simplicity, strong design, and — shot at such close range — their intimacy. The details, closely examined, say more than a wider view can convey'.

(more here)

'The subject and what goes beyond that', 'the simplicity', 'the intimacy' and, of course, showing less that would mean show more. The same old things again...
Campeau himself, very honestly, says that the project deals with ‘the collapse of and the distantiation with a whole phase of my work, I am experimenting with what remains of imagination and memory’.
Well, the images he chose to represent his memory of a darkroom makes me think of who, after the end of a long love story, would say ‘I can’t understand how I could be with that person for such a long time’...

2 comments:

Francesco said...

Qualcuno dica pure a Martin Parr che per quanto riguarda le sue fotografie in 35mm stampate 40x50 forse una stampa a getto d'inchiostro basta e avanza.....anzi....direi che se la merita!!
Non vorrei passare per un "purista anacronistico" ma è inevitabile, quanto tangibile, riconoscere il fatto che la stampa digitale (o a getto d'inchiostro) è ancora ben lungi dal raggiungere la qualità di una stampa analogica.
Forse per il lavoro di Parr (che tra l'altro stimo), dove non vi è una necessità di lettura dettagliata dell'immagine, può andare bene ma per chi fa un lavoro di ricerca fotografica (sul paesaggio per esempio) e usa un mezzo come la camera 8x10 è impensabile una stampa a getto d'inchiostro. E se ho torto qualcuno mi ammonisca.

Fabio Severo said...

Condivido pienamente! Anzi, non ho insistito su quest'aspetto tecnico-espressivo perchè mi colpiva ancora di più quello puramente visivo, cioè quel tornare a ridurre la ricchezza di un'immagine fotografica alle solite pseudoqualità che cita Parr, che penso condannerebbero la fotografia a essere, come alcuni la chiamavano 150 anni fa, "ancella delle altre arti". Ma è chiaro che i due aspetti sono parte di una stessa questione.