Friday, April 30, 2010

Leisure views

Meribel, France, 2006

I imagine that trying to create a body of work focused on the mass consumption of the landscape for tourism and leisure these days must be a dreadful task. It leaves the photographer with the dilemma of how to depict these places and these crowds in a way that can be powerful and at the same time new or at least fresh in respect to all the previous work created on the same theme by artists like Andreas Gursky, Massimo Vitali and Hiromi Tsuchida, to name a few. Patrick Smith is one of those who chose to take the challenge, and even if sometimes there is some kind of feeling of repetition and the echo of the aforementioned photographers is strong, in other moments he finds a way to move freely in those spaces and in those stories, creating an interesting flow of wide views and close-ups of the holyday world.

Bellevaux, France, 2006

Immagino che sia ormai un difficile compito quello di voler raccontare per immagini il consumo di massa del paesaggio ad uso turistico e di svago. Lascia il fotografo con il dilemma di come rappresentare quei luoghi e quelle folle in modo efficace e al tempo stesso provare a proporsi come qualcosa di fresco, di nuovo rispetto a ciò che su questa linea è stato prodotto da nomi come Andreas Gursky, Massimo Vitali e Hiromi Tsuchida, per citarne alcuni. Patrick Smith è tra coloro che hanno tentato l'impresa, e anche se a volte c'è un senso di ripetizione e l'eco dei nomi fatti è forte, in altri momenti trova il modo di muoversi liberamente in quegli spazi, creando un interessante flusso che unisce ampie vedute con brusche discese dentro il mondo del tempo libero.

Le Lindarets, France, 2006

All images © Patrick Smith

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Wednesday, April 28, 2010

Il filo del rasoio


Gianluca Perrone will debut on May first in Rome with an exhibition showing a selection from his Visioni Stenopeiche (Pinhole Visions) at Spaziodarte gallery.
Andrea Calabresi, quiet visionary of the silver gelatin world, wrote a text that will introduce the exhibition, an imaginary dialogue that he kindly allowed me to offer here on a sneak preview (Italian only, sorry).
It is about critical balances, passion, knowledge, painting, photography, vision...


Questo sabato apre a Roma la mostra d'esordio di Gianluca Perrone, che presenta una selezione dalle sue Visioni Stenopeiche presso Spaziodarte.
Per l'occasione Andrea Calabresi, altro quieto visionario dei sali d'argento, ha scritto un testo introduttivo, un dialogo immaginario che accompagnerà la mostra e che gentilmente mi ha concesso di presentare in anteprima qui su Hippolyte. Si parla di equilibri difficili, di passione, conoscenza, pittura, fotografia, visione...

"Vorresti che il mondo fosse semplice, ma non lo è. Quel che non hai colto è la rappresentazione. Non ti sei accorta che guardare un oggetto nella realtà od osservarne una sua rappresentazione son cose diverse..."

Buona lettura.


Dialogo immaginario di due spettatori ad una mostra delle fotografie
di Gian Luca Perrone, scritto da Andrea Calabresi
in occasione del debutto dell'artista.

− Passione: “L'artista si muove sempre sul filo del rasoio!”
− Conoscenza: Bella frase ad effetto per cominciare! Chissà se è vera...
No, purtroppo non lo è: in troppi si adeguano ad un nuovo che è nuovo da quasi cent'anni battendo terreni ormai consunti. Spesso sono i più giovani (Dobbiamo sorprenderci?) a farlo, anche ispirati e convinti...
− Passione: “Mi addolora profondamente...”

− Conoscenza: È un pensiero inevitabile: è l'amara constatazione che si è costretti a fare se si osserva la stragrande maggioranza di ciò che si vede in giro. Ma, tu, non disperare: quella bella frase può diventare vera! E vera lo diventa se penso alle opere che ci interessano e colpiscono profondamente come queste strane visioni che qui, per la prima volta e dopo anni di fatiche, ci presenta Gian Luca Perrone.
− Passione: “Accidenti! Ora mi toccherà sopportarti mentre spieghi perché Gian Luca è un provetto acrobata! Potevo star zitta...”

− Conoscenza: Che vuoi? A domanda rispondo. Lo sai. Hai cominciato tu e ne approfitto per esercitarmi un po'. Dunque... Ci sono molte ragioni, a cominciare dal fatto che queste tecnicamente ardite e complicate immagini son scolpite dalla luce che passa da un minuscolo forellino fatto di fronte ad una scatoletta di legno e non sono fatte con una sofisticata macchina dotata di obbiettivo, otturatore, messa a fuoco, etc.


− Passione: “Vigliaccamente prima le cose semplici? Io lo so che lo hai letto da qualche parte... Ecco, là c'è un cartello. E poi sono stampate da lui medesimo con una tecnica particolare e complicatissima di viraggi multipli... che danno una colorazione tutta particolare... e bla bla bla... son capaci tutti così”

− Conoscenza: Si, consentimelo. Lo sai che mi piace fare il saputello, e poi è per entrare nell'argomento gradualmente. Dicevo... Gian Luca ha sfruttato un fenomeno ottico probabilmente già noto nel XII secolo. Ma allora quelle immagini erano condannate ad essere evanescenti e segrete visioni. La condanna durò per altri otto secoli: fino alla scoperta dei materiali fotosensibili non ci fu la possibilità di trasformare quelle visioni in rappresentazioni donandogli significati insperabili.

− Passione: “Sarà per questo che son tornate di moda?”

− Conoscenza: Vane speranze le tue! L'invasione di immagini inutili che subiamo è dovuta allo scientifico e delinquenziale perseguire la non distinzione tra visione e rappresentazione. Mentre il distinguerle è un passaggio necessario per avere la possibilità di cogliere il significato della rappresentazione, ma il significato della rappresentazione può anche essere molto diverso da quello che si presenta, banalmente, alla semplice visione. Questa diversità è ciò che si ignora e fa paura. Troppa incertezza e libertà.


− Passione: “Così è troppo sintetico e complicato...”
− Conoscenza: Vedi, gradualmente è meglio. Bisognerà partire da lontano...

− Passione: “La solita barba...”

− Conoscenza: Inevitabile. Pure un paio di citazioni di toccano! Potrai mai aver pazienza?
− Passione: “Mi lego alla sedia?”

− Conoscenza: Dieci minuti. Dai!

− Passione: ”Dieci...”
− Conoscenza: Una quarantina di anni fa una intelligentissima filosofa Susan Sontag scrisse che: “per molti una bella fotografia è ancora la fotografia di una cosa bella”, sperava con le sue fatiche di cambiare la situazione, purtroppo vi è riuscita solo un po'...

− Passione: “Se ho capito un po' la cosa complicata che dicevi prima... aveva il mondo contro!”

− Conoscenza: Infatti... pensi bene. Detta così è una frase semplice (Era brava la Sontag!), ma se ben ci si pensa quella frase coglie un comune modo di guardare le immagini: si vede l'oggetto rappresentato, ma non la rappresentazione, né tanto meno, è ovvio, il suo significato.
− Passione: “Uffa. Continua ad essere troppo astratto e noioso... Non sai proprio esprimerti meglio?”
− Conoscenza: È complicato. Lo sai che ci provo. Faccio un esempio: un bel tramonto sul mare... Già lo “vedi” vero? Ma se neanche hai visto la foto che ho qui in tasca! Prima guardala. Eccola. Mi segui?

− Passione: “Forse...”
− Conoscenza: Ti faccio una domanda: non è che stavi confondendo la memoria con la percezione? Nella mente non potevi che immaginare un altro “tramonto sul mare”. Ed anche un'altra: ora che hai visto il mio “tramonto sul mare”, cosa hai visto?

− Passione: “Un tramonto sul mare... Voglio un gelato. Mi porti al mare?”

− Conoscenza: Ti ci porterò quando m'avrai capito. Allora saprò che m'ami come t'amo io. Dunque... Prima hai richiamato alla mente un ricordo, t'è bastato lo stimolo della mia voce. Poi dici di aver visto un tramonto sul mare. Però siamo lontani dal mare e da qui non si potrebbe vedere il tramonto neanche se fosse l'ora giusta. Hai visto solamente un'immagine, che è una cosa molto diversa.
Ti devo fare un'altra domanda: potrebbe essere che solo vivificando l'aspetto manifesto dell'immagine tu ti sia persa qualcosa d'importante?


− Passione: “Io ho sperato che tu mi portassi via con te laggiù! Cosa c'è di più importante? Tu non m'ami!”
− Conoscenza: Sei la solita fascinosa, impaziente ricattatrice! Vorresti che il mondo fosse semplice, ma no lo è. Quel che non hai colto è la rappresentazione. Non ti sei accorta che guardare un oggetto nella realtà od osservarne una sua rappresentazione son cose diverse... Gli oggetti hanno solo un significato manifesto se non vi aggiungiamo memoria ed esperienza o perfino speranze. Ma, appunto, queste son cose che aggiungiamo noi, non sono caratteristiche proprie degli oggetti. Le rappresentazioni sono ancora diverse, hanno il grande potere di cambiare il modo che abbiamo di immaginare.
− Passione: “Vuoi dire che le rappresentazioni ci cambiano dentro, nel profondo delle cose che sentiamo più private, segrete ed inattaccabili?”

− Conoscenza: Non sempre e non necessariamente, ma sicuramente hanno il potere di farlo. Se ora ti dico pensa ad un tramonto sul mare tu quale immagini? Quello che immaginavi prima di vedere la foto? O ne immagini un altro? Oppure ti ricordi quello che ti ho fatto vedere in fotografia poco fa?
Vedi, io penso che almeno dovremmo fare attenzione a come una certa rappresentazione pretende di cambiarci. Non sempre è buona idea accettare passivamente questa forza. Però se non ci si accorge proprio della esistenza stessa delle rappresentazioni si finisce inevitabilmente per subirle.
− Passione: “Ma dai! Che vuol dire subire le rappresentazioni!?”

− Conoscenza: Vuol dire che bisogna accorgersi che per coloro che non riescono a “vedere” l'esistenza delle rappresentazioni ogni cosa trae dall'essere rappresentata una inopportuna dignità, mentre la dignità appartiene alla rappresentazione stessa ed al suo rapporto dialettico con gli oggetti che eventualmente vi appaiono, ma mai agli oggetti in sé. Ma questo è ancora un altro discorso...

− Passione: “...Non è che vorresti finire a parlar di politica? Lo sai che mi annoia.”

− Conoscenza: Beh... Le rappresentazioni le fanno gli esseri umani ed ad altri esseri umani son destinate. Insomma dal parlar di politica, volendo non si sarebbe troppo lontani.
− Passione: ”Vedi che ti conosco!”

− Conoscenza: E se anche tu mi capissi oltre che conoscermi! … Ma lasciamo stare e torniamo al nostro Gian Luca. Sei tu che mi fai sempre perdere il filo del discorso, non puoi fare a meno di provocare... Siamo venuti alla sua mostra, no? Devo spiegare perché riesce a volteggiare sul filo del rasoio, come dicevi proprio tu. Proprio tu che hai occhi profondi come le tue intuizioni, tu che alle parole sostituisci incomprensibili gesti...

− Passione: “Mi vuoi azzittire coi complimenti?”

− Conoscenza: Dai... Fammi un po' parlare...Sembrerebbe che ad un certo punto nella storia gli artisti si siano resi conto che questa particolare sorta d'invisibilità che affligge la rappresentazione era diventata un problema. Eppure, potrebbe ben sembrare che furono essi stessi ad aver cercato e creato questa invisibilità, ed in effetti l'invisibilità della rappresentazione fu per loro (Un tempo e per tanto tempo) il rifugio segreto dove trovar la libertà dall'oppressione di una committenza ottusa.

− Passione: “Si erano nascosti troppo bene?”

− Conoscenza: Ecco, grazie per l'attenzione! Forse, si. O forse non era più necessario nascondersi. I francesi la rivoluzione l'avevano pur fatta, e forse la società borghese era un pochino meno pericolosa. Insomma ad un certo punto la mimesi tanto cercata non la volle più nessuno, sembrava una vecchiaccia al primo sguardo. Fu allora che apparve la fotografia e nacque sventurata. Pareva, così nuova e piccina, ineluttabilmente legata ad una idea d'arte ormai sorpassata. Ben espresse questi sentimenti Baudelaire parlando del Salon del 1859. Scriveva che il legame della fotografia con l'ineluttabile prospettiva era troppo forte, che era troppo stupida la sua incapacità di discernere tra gli oggetti del mondo; che era troppo facile e meccanica da farsi; che era troppo uguale agli oggetti che rappresentava di per sé privi di significato; che era priva d'idealità; che era troppo facile illudersi per i primi fotografi d'esser grandi Artisti. Grandi e persino più furbi di chi passava settimane a rifinire la tela quando a loro bastavano poche ore. La vera Arte era tutt'altra cosa ed anzi la fotografia era proprio la negazione dell'Arte stessa! E che al limite, ma proprio al limite, la sua capacità documentaria (Nulla di più poteva pretendere) poteva esser umile serva dell'Arte.

− Passione: “Insomma: una bambina nata vecchia e utile forse solo alla scienza. Che tristezza. Da secoli cercata fu trovata che era quasi morta. Ma era vero?”



− Conoscenza: Non era vero. Oggi che ne siamo invasi ce ne rendiamo conto. Baudelaire era caduto nel famosissimo Primo Paradosso della critica d'arte: “ad ogni definizione d'arte, corrisponde il suo superamento”, ma possiamo ben perdonarlo perché è l'errore più comune e poi allora non era ancora stato enunciato, dato che non ero nato...

− Passione: “Sei il solito presuntuoso... A chi vuoi fare buona impressione? Di certo non a me! Io ti preferisco quando nel guardarmi ti dimentichi di te... Non succede quasi mai. Non ti piaccio più....”

− Conoscenza: Eccola... Da quanto siamo insieme? Ancora dubiti? Verrà il tempo, non disperare. Sarò pieno di te sola, non saprò più chi sono e solo tu lo saprai, ma ora devo finire. Diciamo che anche i fanatici della fotografia erano a loro volta vittime di una definizione d'arte che non era più al passo coi tempi. Va bene diciamo pure che forse non l'avevano neanche capita l'arte dei tempi prima, ne avevano vista solo la forma senza coglierne la sostanza... E ammettiamolo Baudelaire aveva ragione: “la fotografia era la palestra dei pittori mancati”...

− Passione. “Sei logorroico...”

− Conoscenza: Se facciamo una figlia la vorrei chiamare Pazienza! Comunque... quel che ora è importante è come i fotografi più sensibili di allora reagirono a queste critiche. Reagirono inventando la “fotografia pittorica”, ovvero dimostrando che non era vero che la fotografia fosse ineluttabilmente legata ad una rappresentazione passiva e non selettiva del reale. Dimostrarono anche che la manualità che richiedeva poteva anche essere elaborata e fantasiosa e che la chimica fotografica era molto meno “arte meccanica” di quanto si potesse pensare. Non che riuscirono a trasmettere la cosa al grande pubblico. Questa era, in fondo, quasi solo una questione tecnica ed interessava pochi, allora come ora...

− Passione: “Dai su, prendi fiato... manca molto?”

− Conoscenza: Allora se non ti interessa sto zitto.

− Passione.”Sei il solito permaloso, lo sai che mi interessa! Solo: sei lento!”

− Conoscenza: È che tergiverso per cercare le parole... Le immagini di quei fotografi avevano un difetto che le ha condannate a rimanere frutto d'un tempo antico. In esse si nascondeva una idea d'arte in cui la manualità, elaborata e fieramente esibita, era persino più importante dell'immagine stessa...
− Passione: “Pensi davvero che una frase del genere si possa capire?”

− Conoscenza: Hai ragione. Lo spero e basta... Provo ancora: la fotografia pittorica ha avuto ed ha ancora tante forme, si riconosce perché di fronte ad essa la prima cosa che vediamo è la particolare tecnica con cui è stata realizzata, e questa tecnica ci spinge ad ammirarne l'esecutore. Il fotografo pittorico è un po' narcisista.

− Passione: “Insomma un inutile virtuosismo?”
− Conoscenza: Forse ormai stucchevole, ma inutile solo fino ad un certo punto. Un grandissimo pregio lo avevano: di fronte a quelle immagini si è costretti ad ammirare il modo con cui l'immagine è stata realizzata e quindi, in un certo senso, non è possibile non accorgersi che esse sono una rappresentazione. La mano dell'uomo è fin troppo pesante. L'oggetto fotografato diventa meno importante. Però diventa troppo importante il pezzo di carta che vediamo...

− Passione. “E allora queste fotografie che vediamo qui alla mostra? Non sono fotografie pittoriche: io non mi soffermo a pensare alla maestria di cotanta esecuzione! Eppure non sono neanche fotografie documentarie, non sono tanto curiosa di sapere dove sono questi posti... neanche se esistono veramente!”


− Conoscenza: Ecco, vedi... Ci siamo! Che sono? Non cascano nell'antico errore di mostrarsi mirabili nell'esecuzione, né ci spingono a negare il fatto che esse sono rappresentazioni come la fotografia del tramonto che non si faceva “vedere”...
− Passione: “Il filo del rasoio!”
− Conoscenza: Proprio come dicevi tu. È difficilissimo che un artista possa muovercisi senza mai cadere: senza raccontare l'ovvietà di un oggetto eppur sfruttandone il potenziale evocativo. È un confine assai labile e sfuggente. Solo chi lo sa vedere riesce a creare immagini così: aperte e sospese. Sono immagini che ci liberano dalla schiavitù di definirle e collocarle. Sono immagini che ci fanno dono di uno spazio ancora ignoto ed immaginario.

− Passione: “E allora è stato proprio bravo!”

− Conoscenza: Mirabile!

− Passione: “Mi porti al mare? La primavera tarda un po', ma giù al sud le notti sono già calde...”

− Conoscenza: Si

− Passione: “Al tramonto, quando con l'oscurità non riuscirò più a vederti bene, ti penserò più bello...”

− Conoscenza: Dopo il dolce l'amaro come al tuo solito...


Si baciano.

Fine

All images © Gianluca Perrone

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Tuesday, April 27, 2010

Renovations

Horizons - Grotta #2, 2009

Andrea Botto has recently launched his brand new website, where it is now possible to view galleries from all his projects, spreads from his publications and also read many texts. His images acknowledge the legacy of all the Italian landscape photography behind our shoulders, and still seem to me with one foot towards new territories, new visions, trying to reach new and different landscapes.

"Rather than landscape I prefer to talk of territory or place, words which perhaps best express the complexity of what we find in front of us. Photography represents a section, a cross section at a precise point in history, which can lay bare its stratifications".


Monte Giogo, 2007

Andrea Botto ha da poco inaugurato il suo nuovo sito, dove è ora possibile vedere gallerie tratte da tutti i suoi progetti, estratti dalle sue molte pubblicazioni e leggere diversi testi attorno alle immagini e alla fotografia in generale. I suoi lavori sicuramente ripartono dalla tradizione e l'eredità della fotografia italiana di paesaggio che ci precede, ma al tempo stesso esprimono la voglia di cercare nuovi territori, nuove visioni, nuovi e differenti paesaggi.

"Più che di paesaggio, mi piace parlare di territorio o luogo, parole che forse meglio esprimono la complessità di ciò che ci troviamo davanti. La fotografia rappresenta una sezione, uno spaccato in un preciso punto della storia, che ne può mettere a nudo le stratificazioni".

Tutto in una notte # 5, 2005

All images © Andrea Botto

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Monday, April 26, 2010

Invisible power


"Like other American SIGINT spacecraft, VORTEX 3 is shaped like a giant umbrella with a 38m diameter dish antenna. SIGINT spacecraft act as massive electromagnetic “vacuums” designed to collect electronic communications such as telephone conversations and relay them to the National Security Agency for collation and analysis. [...] In this image, VORTEX 3 appears in the lower right of the image. In the center of the image are two other objects forming an “x” shape. The line from the lower left to upper right is a leftover rocket body from a Russian Proton rocket. The object bisecting that line is a spent rocket body from an American Delta launch."

Welcome to Trevor Paglen's world, or I should say our own hidden world.

Found in the latest Foam issue, the juicy #22 'Peeping'.

Unmarked 737 at "Gold Coast" Terminal Las Vegas, NV. Distance ~ 1 mile, 10:44 p.m.

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Saturday, April 24, 2010

Looking away

Absent, 2008-2009

There might be one too many people facing away from the camera, or empty parking lots, or scenes of everyday life's oddness, or maybe simply too many images, but still Jennilee Marigomen's portfolios present several interesting images, so just take your time to go through all the many different series displayed on her website, like Botanophobia, where exactly all those déjà vù's are turned into a subtle parody, also thanks to the great title of the work.

From The See, 2009

Forse c'è qualche ritratto di spalle di troppo, come anche qualche parcheggio deserto oppure scene di banali stranezze quotidiane, ma comunque i lavori di Jennilee Marigomen presentano piacevoli sorprese: consiglio quindi di cercarle frugando tra le tante serie presenti sul suo sito, come ad esempio Botanophobia, dove appunto quel senso di déjà vu diventa una sorta di sottile parodia, non foss'altro che per il titolo perfetto.

Botanophobia, 2008-2009

All images © Jennilee Marigomen

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Friday, April 23, 2010

Silent nests

15th c. Pigeonnier, Rolleville, France

More melancholic black and white with Vicki Topaz: in search of the remnants of distant times, through silent trees and ancient ruins, she tells us stories like that of the pigeonniers of France, the stations of the many routes of the messengers avians once flying our skies, when communications really had wings.

15th c. Pigeonnier, Sibiril, France

Ancora bianco e nero malinconico, con Vicki Topaz: in cerca delle tracce di un passato lontano, tra il silenzio degli alberi e antiche rovine, ci racconta storie come quella delle pigeonniers di Francia, le stazioni delle tante rotte percorse un tempo dai piccioni viaggiatori, quando le comunicazioni avevano davvero le ali.

Gravestone, la Fontelaye, France

All images © Vicki Topaz

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Tuesday, April 20, 2010

Feels like home


Recipe: 8x10, wet plate collodion, scratched surfaces, kallytipes, elegiac views of fields, trees, bushes, then spread some delicate b&w on top. The work by Lisa Elmaleh is blended so sweetly I'm not sure if when I look at it I don't fall into something like the previous Polaroid's syndrome.

So, once again: is it me or it's really good stuff?

(via
Bite! magazine)


Ricetta: 20x25, collodio umido, superfici graffiate, calotipi, vedute elegiache di prati, alberi, piante, poi spargete sopra del bianco e nero delicato. Le immagini di Lisa Elmaleh nascono da preparazioni così dolci che quando le guardo non so più se in realtà sono semplicemente preda di qualcosa di simile alla sindrome da Polaroid.

Quindi, di nuovo: sono io oppure sono davvero delle belle immagini?

(via Bite! magazine)


All images © Lisa Elmaleh

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Wednesday, April 14, 2010

Sun writing


"When the sun mercilessly stabs from the sky, he sets up his camera on a tripod on the balcony. That way he needn’t leave the house. [...] He points the lens at the sun and chooses the setting for soft focus. Then he opens the shutter for minutes at a time. The rays collect without reflection, expanding to a width of a few millimeters – into a solar ball on celluloid. Suddenly the film burns in the camera and smoke rises. A film sun is born".

Love it or hate it, here's The Sun by Claus Stolz.


"Quando il sole colpisce dal cielo senza alcuna pietà, lui prepara la sua macchina fotografica sul cavalletto, in balcone. [...] Punta l'obiettivo verso il sole e lo imposta su una leggera sfocatura. Poi apre l'otturatore, ogni volta per dei minuti. I raggi si raccolgono senza alcuna riflessione, espandendosi fino a una larghezza di qualche millimetro, una sfera solare sulla celluloide. All'improvviso la pellicola brucia dentro l'apparecchio e del fumo sale: un sole di pellicola è nato".

Che lo si ami o lo si odi, The Sun di Claus Stolz.


All images © Claus Stolz

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Sunday, April 11, 2010

Photo-nomenclature


Claire Chevrier uses photography to classify human interactions, interior spaces, buldings, avenues, etc. Dry titles like "geste - regard", "personnage espace" or "paysage - ville" introduce visual inspections of the many theatres of the contemporary daily life, photographs where what is often hurriedly called neutrality reveals an attempt to let our eyes understand the meaning of the space in front of us.


Claire Chevrier usa la fotografia per classifcare azioni umane, luoghi, palazzi, strade, etc. Secchi titoli come "geste - regard", "personnage espace" oppure "paysage - ville" introducono ispezioni visive dei vari teatri della vita quotidiana contemporanea, fotografie dove quella che spesso viene frettolosamente chiamata neutralità rivela il tentativo di lasciare agli occhi il modo di comprendere il significato degli spazi intorno a noi.


All images © Claire Chevrier

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Wednesday, April 7, 2010

Sharing images

Berta, Guapamacataro, Mexico, 2009

Getting in touch with people who want to share their contribution to the photographic world is one of the main reason I keep writing on this blog. Sometimes it evolves into a correspondence, sometimes I am terribly late in answering, sometimes I don't even answer at all, out of hectic days, distraction or any other unsufficient reason I can come up with to justify what is only a lack of attention. So my thanks to all the people who keep writing me must come together with an apology to anybody I did not answer to, or was really late in doing it. I hope I will keep receiving inputs from all you people out there, they are nourishment and reward for any word that I write here. The latest message in a bottle that reached me was sent by Lorena Endara, a photographer from Panama that shows us her native landscape through the contradictions battling on its very ground: she demonstrates how landscape photography can contribute in analyising and understanding a territory, and her portrait works are the perfect example of what discreetness can achieve in depicting human figures, using the environment around them to tell their stories, leaving that distance between them and the camera that sometimes feels like the air someone needs to breathe.

Abandoned lot, Obarrio, Panama City, Panama, 2008

Conoscere persone che vogliono condividere quello che fanno nel mondo della fotografia è in fondo una delle principali ragioni per cui questo blog esiste. A volte può diventare una vera e propria corrispondenza, altre volte rispondo con estremo ritardo, altre ancora magari non rispondo affatto, a causa di giorni caotici, distrazione o qualsiasi altra ragione possa tirare fuori per giustificare quella che è soltano una mancanza di attenzione. Per questo il mio ringraziamento viene insieme alle scuse verso chiunque non abbia ricevuto risposta, o questa sia arrivata con grande ritardo. Spero davvero di continuare a ricevere stimoli da voi che leggete queste pagine, per me sono nutrimento e riconoscimento per quello che scrivo.
L'ultimo messaggio in una bottiglia che è giunto fin qui viene da Lorena Endara, una fotografa di Panama che ci mostra i suoi paesaggi nativi attraverso le contraddizioni che vi crescono e si scontrano: sono esempi forti di come la fotografia di un territorio può contribuire a analizzarlo e a comprenderlo, come del resto i suoi ritratti dimostrano cosa una certa delicatezza può aggiungere al ritratto di una figura umana, lasciando che l'ambiente intorno la racconti, mantenendo quella certa distanza tra l'apparecchio fotografico e la persona ritratta che a volte sembra come l'aria di cui si ha bisogno per respirare.

Billboard #2, Punta Pacifica, Panama City, Panama, 2007

All images © Lorena Endara

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Tuesday, April 6, 2010

Dide Photography Magazine

Front cover of Issue #1 of Dide Photographic Magazine

Mohammadreza Mirzaei sent word about his new adventure of editor of online Dide Photography Magazine (English/Farsi), launched this april with the first issue featuring a dialogued portfolio by Mohammad Gazali, where words and photographs intertwine on the streets of Teheran.

Mohammadreza Mirzaei mi ha scritto per annunciare la sua nuova avventura come editor della rivista online Dide Photography Magazine (in inglese e in persiano), che debutta questo mese con un portfolio dialogato di Mohammad Gazali, dove parole e immagini si intrecciano nelle strade di Teheran.

Mohammad Gazali, Seyyed Hassan Modares, 20th Century Cleric and Politician, from the series Where the Heads of the Renowned Rest

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Interiors


Rooms of the mind, enthropy taking over the order of things, spaces inside out, Anne Hardy's interiors could be described in many ways, but probably the best thing to do is to watch them, for a long time, trying to collect evidences, reconstructing all the stories hiding inside them, connecting the dots of a ghost image we might not even want to see.


Stanze della mente, un'entropia brusca che prende possesso dell'ordine delle cose, spazi capovolti, gli interni di Anne Hardy potrebbero essere descritti in tanti modi, ma la cosa migliore è forse osservarli a lungo, cercando di raccogliere indizi, ricostruendo le storie nascoste, unendo i punti di un'immagine fantasma che forse non vorremmo neanche vedere.


All images © Anne Hardy

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Friday, April 2, 2010

"A right to opacity"

Japanimals

Chung-Leng Tran uses photography as a tool to give form to his memories and impressions of places and people, his travels across the geography of his Cambodian-Chinese-French heritage. Albums collected chasing imaginary Ariadne's threads, Tran's photographs 'document' a personal journey through the impossible task of grasping the essence of a place, of a story, where images become the attempt to hold things together, a gentle compass of the heart to keep travelling day after day.

Que reste-t-il de ce temps passé au Cambodge?

Chung-Leng Tran usa la fotografia per dare forma alle sue memorie e impressioni di luoghi e persone, in viaggio attraverso la geografia delle sue origini francesi-cinesi-cambogiane. Album creati inseguendo immaginari fili di Arianna, le sue fotografie 'documentano' itinerari privati lungo l'impossibile compito di cogliere l'essenza di un posto, di una storia: le immagini diventano un tentativo di tenere uniti i vari pezzi di un insieme, una bussola del cuore per continuare a viaggiare giorno dopo giorno.

La terre qu'il a quittée

All images © Chung-Leng Tran

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