Wednesday, April 28, 2010

Il filo del rasoio


Gianluca Perrone will debut on May first in Rome with an exhibition showing a selection from his Visioni Stenopeiche (Pinhole Visions) at Spaziodarte gallery.
Andrea Calabresi, quiet visionary of the silver gelatin world, wrote a text that will introduce the exhibition, an imaginary dialogue that he kindly allowed me to offer here on a sneak preview (Italian only, sorry).
It is about critical balances, passion, knowledge, painting, photography, vision...


Questo sabato apre a Roma la mostra d'esordio di Gianluca Perrone, che presenta una selezione dalle sue Visioni Stenopeiche presso Spaziodarte.
Per l'occasione Andrea Calabresi, altro quieto visionario dei sali d'argento, ha scritto un testo introduttivo, un dialogo immaginario che accompagnerà la mostra e che gentilmente mi ha concesso di presentare in anteprima qui su Hippolyte. Si parla di equilibri difficili, di passione, conoscenza, pittura, fotografia, visione...

"Vorresti che il mondo fosse semplice, ma non lo è. Quel che non hai colto è la rappresentazione. Non ti sei accorta che guardare un oggetto nella realtà od osservarne una sua rappresentazione son cose diverse..."

Buona lettura.


Dialogo immaginario di due spettatori ad una mostra delle fotografie
di Gian Luca Perrone, scritto da Andrea Calabresi
in occasione del debutto dell'artista.

− Passione: “L'artista si muove sempre sul filo del rasoio!”
− Conoscenza: Bella frase ad effetto per cominciare! Chissà se è vera...
No, purtroppo non lo è: in troppi si adeguano ad un nuovo che è nuovo da quasi cent'anni battendo terreni ormai consunti. Spesso sono i più giovani (Dobbiamo sorprenderci?) a farlo, anche ispirati e convinti...
− Passione: “Mi addolora profondamente...”

− Conoscenza: È un pensiero inevitabile: è l'amara constatazione che si è costretti a fare se si osserva la stragrande maggioranza di ciò che si vede in giro. Ma, tu, non disperare: quella bella frase può diventare vera! E vera lo diventa se penso alle opere che ci interessano e colpiscono profondamente come queste strane visioni che qui, per la prima volta e dopo anni di fatiche, ci presenta Gian Luca Perrone.
− Passione: “Accidenti! Ora mi toccherà sopportarti mentre spieghi perché Gian Luca è un provetto acrobata! Potevo star zitta...”

− Conoscenza: Che vuoi? A domanda rispondo. Lo sai. Hai cominciato tu e ne approfitto per esercitarmi un po'. Dunque... Ci sono molte ragioni, a cominciare dal fatto che queste tecnicamente ardite e complicate immagini son scolpite dalla luce che passa da un minuscolo forellino fatto di fronte ad una scatoletta di legno e non sono fatte con una sofisticata macchina dotata di obbiettivo, otturatore, messa a fuoco, etc.


− Passione: “Vigliaccamente prima le cose semplici? Io lo so che lo hai letto da qualche parte... Ecco, là c'è un cartello. E poi sono stampate da lui medesimo con una tecnica particolare e complicatissima di viraggi multipli... che danno una colorazione tutta particolare... e bla bla bla... son capaci tutti così”

− Conoscenza: Si, consentimelo. Lo sai che mi piace fare il saputello, e poi è per entrare nell'argomento gradualmente. Dicevo... Gian Luca ha sfruttato un fenomeno ottico probabilmente già noto nel XII secolo. Ma allora quelle immagini erano condannate ad essere evanescenti e segrete visioni. La condanna durò per altri otto secoli: fino alla scoperta dei materiali fotosensibili non ci fu la possibilità di trasformare quelle visioni in rappresentazioni donandogli significati insperabili.

− Passione: “Sarà per questo che son tornate di moda?”

− Conoscenza: Vane speranze le tue! L'invasione di immagini inutili che subiamo è dovuta allo scientifico e delinquenziale perseguire la non distinzione tra visione e rappresentazione. Mentre il distinguerle è un passaggio necessario per avere la possibilità di cogliere il significato della rappresentazione, ma il significato della rappresentazione può anche essere molto diverso da quello che si presenta, banalmente, alla semplice visione. Questa diversità è ciò che si ignora e fa paura. Troppa incertezza e libertà.


− Passione: “Così è troppo sintetico e complicato...”
− Conoscenza: Vedi, gradualmente è meglio. Bisognerà partire da lontano...

− Passione: “La solita barba...”

− Conoscenza: Inevitabile. Pure un paio di citazioni di toccano! Potrai mai aver pazienza?
− Passione: “Mi lego alla sedia?”

− Conoscenza: Dieci minuti. Dai!

− Passione: ”Dieci...”
− Conoscenza: Una quarantina di anni fa una intelligentissima filosofa Susan Sontag scrisse che: “per molti una bella fotografia è ancora la fotografia di una cosa bella”, sperava con le sue fatiche di cambiare la situazione, purtroppo vi è riuscita solo un po'...

− Passione: “Se ho capito un po' la cosa complicata che dicevi prima... aveva il mondo contro!”

− Conoscenza: Infatti... pensi bene. Detta così è una frase semplice (Era brava la Sontag!), ma se ben ci si pensa quella frase coglie un comune modo di guardare le immagini: si vede l'oggetto rappresentato, ma non la rappresentazione, né tanto meno, è ovvio, il suo significato.
− Passione: “Uffa. Continua ad essere troppo astratto e noioso... Non sai proprio esprimerti meglio?”
− Conoscenza: È complicato. Lo sai che ci provo. Faccio un esempio: un bel tramonto sul mare... Già lo “vedi” vero? Ma se neanche hai visto la foto che ho qui in tasca! Prima guardala. Eccola. Mi segui?

− Passione: “Forse...”
− Conoscenza: Ti faccio una domanda: non è che stavi confondendo la memoria con la percezione? Nella mente non potevi che immaginare un altro “tramonto sul mare”. Ed anche un'altra: ora che hai visto il mio “tramonto sul mare”, cosa hai visto?

− Passione: “Un tramonto sul mare... Voglio un gelato. Mi porti al mare?”

− Conoscenza: Ti ci porterò quando m'avrai capito. Allora saprò che m'ami come t'amo io. Dunque... Prima hai richiamato alla mente un ricordo, t'è bastato lo stimolo della mia voce. Poi dici di aver visto un tramonto sul mare. Però siamo lontani dal mare e da qui non si potrebbe vedere il tramonto neanche se fosse l'ora giusta. Hai visto solamente un'immagine, che è una cosa molto diversa.
Ti devo fare un'altra domanda: potrebbe essere che solo vivificando l'aspetto manifesto dell'immagine tu ti sia persa qualcosa d'importante?


− Passione: “Io ho sperato che tu mi portassi via con te laggiù! Cosa c'è di più importante? Tu non m'ami!”
− Conoscenza: Sei la solita fascinosa, impaziente ricattatrice! Vorresti che il mondo fosse semplice, ma no lo è. Quel che non hai colto è la rappresentazione. Non ti sei accorta che guardare un oggetto nella realtà od osservarne una sua rappresentazione son cose diverse... Gli oggetti hanno solo un significato manifesto se non vi aggiungiamo memoria ed esperienza o perfino speranze. Ma, appunto, queste son cose che aggiungiamo noi, non sono caratteristiche proprie degli oggetti. Le rappresentazioni sono ancora diverse, hanno il grande potere di cambiare il modo che abbiamo di immaginare.
− Passione: “Vuoi dire che le rappresentazioni ci cambiano dentro, nel profondo delle cose che sentiamo più private, segrete ed inattaccabili?”

− Conoscenza: Non sempre e non necessariamente, ma sicuramente hanno il potere di farlo. Se ora ti dico pensa ad un tramonto sul mare tu quale immagini? Quello che immaginavi prima di vedere la foto? O ne immagini un altro? Oppure ti ricordi quello che ti ho fatto vedere in fotografia poco fa?
Vedi, io penso che almeno dovremmo fare attenzione a come una certa rappresentazione pretende di cambiarci. Non sempre è buona idea accettare passivamente questa forza. Però se non ci si accorge proprio della esistenza stessa delle rappresentazioni si finisce inevitabilmente per subirle.
− Passione: “Ma dai! Che vuol dire subire le rappresentazioni!?”

− Conoscenza: Vuol dire che bisogna accorgersi che per coloro che non riescono a “vedere” l'esistenza delle rappresentazioni ogni cosa trae dall'essere rappresentata una inopportuna dignità, mentre la dignità appartiene alla rappresentazione stessa ed al suo rapporto dialettico con gli oggetti che eventualmente vi appaiono, ma mai agli oggetti in sé. Ma questo è ancora un altro discorso...

− Passione: “...Non è che vorresti finire a parlar di politica? Lo sai che mi annoia.”

− Conoscenza: Beh... Le rappresentazioni le fanno gli esseri umani ed ad altri esseri umani son destinate. Insomma dal parlar di politica, volendo non si sarebbe troppo lontani.
− Passione: ”Vedi che ti conosco!”

− Conoscenza: E se anche tu mi capissi oltre che conoscermi! … Ma lasciamo stare e torniamo al nostro Gian Luca. Sei tu che mi fai sempre perdere il filo del discorso, non puoi fare a meno di provocare... Siamo venuti alla sua mostra, no? Devo spiegare perché riesce a volteggiare sul filo del rasoio, come dicevi proprio tu. Proprio tu che hai occhi profondi come le tue intuizioni, tu che alle parole sostituisci incomprensibili gesti...

− Passione: “Mi vuoi azzittire coi complimenti?”

− Conoscenza: Dai... Fammi un po' parlare...Sembrerebbe che ad un certo punto nella storia gli artisti si siano resi conto che questa particolare sorta d'invisibilità che affligge la rappresentazione era diventata un problema. Eppure, potrebbe ben sembrare che furono essi stessi ad aver cercato e creato questa invisibilità, ed in effetti l'invisibilità della rappresentazione fu per loro (Un tempo e per tanto tempo) il rifugio segreto dove trovar la libertà dall'oppressione di una committenza ottusa.

− Passione: “Si erano nascosti troppo bene?”

− Conoscenza: Ecco, grazie per l'attenzione! Forse, si. O forse non era più necessario nascondersi. I francesi la rivoluzione l'avevano pur fatta, e forse la società borghese era un pochino meno pericolosa. Insomma ad un certo punto la mimesi tanto cercata non la volle più nessuno, sembrava una vecchiaccia al primo sguardo. Fu allora che apparve la fotografia e nacque sventurata. Pareva, così nuova e piccina, ineluttabilmente legata ad una idea d'arte ormai sorpassata. Ben espresse questi sentimenti Baudelaire parlando del Salon del 1859. Scriveva che il legame della fotografia con l'ineluttabile prospettiva era troppo forte, che era troppo stupida la sua incapacità di discernere tra gli oggetti del mondo; che era troppo facile e meccanica da farsi; che era troppo uguale agli oggetti che rappresentava di per sé privi di significato; che era priva d'idealità; che era troppo facile illudersi per i primi fotografi d'esser grandi Artisti. Grandi e persino più furbi di chi passava settimane a rifinire la tela quando a loro bastavano poche ore. La vera Arte era tutt'altra cosa ed anzi la fotografia era proprio la negazione dell'Arte stessa! E che al limite, ma proprio al limite, la sua capacità documentaria (Nulla di più poteva pretendere) poteva esser umile serva dell'Arte.

− Passione: “Insomma: una bambina nata vecchia e utile forse solo alla scienza. Che tristezza. Da secoli cercata fu trovata che era quasi morta. Ma era vero?”



− Conoscenza: Non era vero. Oggi che ne siamo invasi ce ne rendiamo conto. Baudelaire era caduto nel famosissimo Primo Paradosso della critica d'arte: “ad ogni definizione d'arte, corrisponde il suo superamento”, ma possiamo ben perdonarlo perché è l'errore più comune e poi allora non era ancora stato enunciato, dato che non ero nato...

− Passione: “Sei il solito presuntuoso... A chi vuoi fare buona impressione? Di certo non a me! Io ti preferisco quando nel guardarmi ti dimentichi di te... Non succede quasi mai. Non ti piaccio più....”

− Conoscenza: Eccola... Da quanto siamo insieme? Ancora dubiti? Verrà il tempo, non disperare. Sarò pieno di te sola, non saprò più chi sono e solo tu lo saprai, ma ora devo finire. Diciamo che anche i fanatici della fotografia erano a loro volta vittime di una definizione d'arte che non era più al passo coi tempi. Va bene diciamo pure che forse non l'avevano neanche capita l'arte dei tempi prima, ne avevano vista solo la forma senza coglierne la sostanza... E ammettiamolo Baudelaire aveva ragione: “la fotografia era la palestra dei pittori mancati”...

− Passione. “Sei logorroico...”

− Conoscenza: Se facciamo una figlia la vorrei chiamare Pazienza! Comunque... quel che ora è importante è come i fotografi più sensibili di allora reagirono a queste critiche. Reagirono inventando la “fotografia pittorica”, ovvero dimostrando che non era vero che la fotografia fosse ineluttabilmente legata ad una rappresentazione passiva e non selettiva del reale. Dimostrarono anche che la manualità che richiedeva poteva anche essere elaborata e fantasiosa e che la chimica fotografica era molto meno “arte meccanica” di quanto si potesse pensare. Non che riuscirono a trasmettere la cosa al grande pubblico. Questa era, in fondo, quasi solo una questione tecnica ed interessava pochi, allora come ora...

− Passione: “Dai su, prendi fiato... manca molto?”

− Conoscenza: Allora se non ti interessa sto zitto.

− Passione.”Sei il solito permaloso, lo sai che mi interessa! Solo: sei lento!”

− Conoscenza: È che tergiverso per cercare le parole... Le immagini di quei fotografi avevano un difetto che le ha condannate a rimanere frutto d'un tempo antico. In esse si nascondeva una idea d'arte in cui la manualità, elaborata e fieramente esibita, era persino più importante dell'immagine stessa...
− Passione: “Pensi davvero che una frase del genere si possa capire?”

− Conoscenza: Hai ragione. Lo spero e basta... Provo ancora: la fotografia pittorica ha avuto ed ha ancora tante forme, si riconosce perché di fronte ad essa la prima cosa che vediamo è la particolare tecnica con cui è stata realizzata, e questa tecnica ci spinge ad ammirarne l'esecutore. Il fotografo pittorico è un po' narcisista.

− Passione: “Insomma un inutile virtuosismo?”
− Conoscenza: Forse ormai stucchevole, ma inutile solo fino ad un certo punto. Un grandissimo pregio lo avevano: di fronte a quelle immagini si è costretti ad ammirare il modo con cui l'immagine è stata realizzata e quindi, in un certo senso, non è possibile non accorgersi che esse sono una rappresentazione. La mano dell'uomo è fin troppo pesante. L'oggetto fotografato diventa meno importante. Però diventa troppo importante il pezzo di carta che vediamo...

− Passione. “E allora queste fotografie che vediamo qui alla mostra? Non sono fotografie pittoriche: io non mi soffermo a pensare alla maestria di cotanta esecuzione! Eppure non sono neanche fotografie documentarie, non sono tanto curiosa di sapere dove sono questi posti... neanche se esistono veramente!”


− Conoscenza: Ecco, vedi... Ci siamo! Che sono? Non cascano nell'antico errore di mostrarsi mirabili nell'esecuzione, né ci spingono a negare il fatto che esse sono rappresentazioni come la fotografia del tramonto che non si faceva “vedere”...
− Passione: “Il filo del rasoio!”
− Conoscenza: Proprio come dicevi tu. È difficilissimo che un artista possa muovercisi senza mai cadere: senza raccontare l'ovvietà di un oggetto eppur sfruttandone il potenziale evocativo. È un confine assai labile e sfuggente. Solo chi lo sa vedere riesce a creare immagini così: aperte e sospese. Sono immagini che ci liberano dalla schiavitù di definirle e collocarle. Sono immagini che ci fanno dono di uno spazio ancora ignoto ed immaginario.

− Passione: “E allora è stato proprio bravo!”

− Conoscenza: Mirabile!

− Passione: “Mi porti al mare? La primavera tarda un po', ma giù al sud le notti sono già calde...”

− Conoscenza: Si

− Passione: “Al tramonto, quando con l'oscurità non riuscirò più a vederti bene, ti penserò più bello...”

− Conoscenza: Dopo il dolce l'amaro come al tuo solito...


Si baciano.

Fine

All images © Gianluca Perrone

2 comments:

Anonymous said...

splendide le foto e forte il commento
francesco

rosette said...

FOTO da mozzafiato e presentazione seducente e acuta .
Rosette