Wednesday, December 19, 2012

Giove e oltre l'infinito


 Giove e oltre l'infinito. Le forme dell'ingegneria aerospaziale

(testo scritto per la mostra HAL 9000, fotografie di Stefano D'Amadio, B>Gallery, 28 settembre - 14 ottobre 2012) 


 In 2001: Odissea nello Spazio, il calcolatore HAL 9000 si rivolta contro gli esseri umani che assiste in una missione spaziale perché viene scoperto in errore, non avendo rilevato un malfunzionamento all'antenna principale dell'astronave Discovery che li sta portando verso Giove. La macchina "incapace di commettere errore" cade in un conflitto di priorità tra proteggere gli astronauti e proteggere la missione, costringendo il comandante David Bowman a disattivarla per salvare la propria vita. Da decenni ormai il cerchio rosso che nel film rappresenta l'occhio di HAL incarna insieme alle superfici bianche dell'interno della Discovery il nostro immaginario delle imprese aerospaziali, l'essenza del rapporto uomo-macchina così come è stato immaginato con gli ambienti sterili e i rumori sordi del film di Stanley Kubrick. Per questo, non appena osserviamo dei luoghi reali come i laboratori di scienza e ingegneria aerospaziale della Thales Alenia Space, lo sguardo compensa la difficoltà nel comprendere il lavoro che si svolge al loro interno tornando con la memoria ai corridoi e agli schermi elettronici di 2001.


Si prova una forma di smarrimento nell'esplorare quegli ambienti, provocato dall'aspetto dei macchinari che vengono assemblati al loro interno, dalle superfici e dai materiali che li rivestono, dai colori di cui non capiamo la ragione. E soprattutto smarrisce osservare gli uomini e le donne che si muovono attorno ad essi, mentre toccano delicatamente una leva o una giuntura dei vari monoliti tecnologici, vestiti con camici bianchi come dei medici. Difficile comprendere perché siano necessari guanti di lattice e una cuffia per capelli mentre si lavora a un macchinario che appare fatto di solo metallo e fibra di carbonio, arduo intuire che cosa lo renda così delicato da richiedere simili precauzioni.


HAL 9000 di Stefano D'Amadio nasce proprio da questa unione di pesantezza e fragilità espressa dal mondo dei laboratori della Thales, dove squadre di ingegneri, fisici e tecnici specializzati realizzano infrastrutture orbitanti dividendosi tra turbine grandi decine di metri e micro-serre dove si sperimenta la crescita in orbita di piccoli germogli di piante. La forma degli oggetti e dei macchinari che popolano i laboratori Thales disorienta, il loro aspetto appare determinato esclusivamente dalla loro funzione, difficile rinvenire tracce di un'estetica che sia stata concepita per essere guardata. Eppure ci sforziamo di provare a comprenderli, per decifrarne lo scopo e l'immagine, per provare a legarli al progetto scientifico che li ha resi necessari. Le forme circolari di diverse strutture sono tra le poche immagini che ci danno un senso di compimento e di naturalezza, tra mappe infinite di circuiti stampati e tubature che si arrampicano su colossi metallici. Come HAL 9000 si presentava all'uomo nella forma di un'iride rossa, così il cerchio torna a suggerire in questi laboratori un'armonia di forma e idea, una rassicurazione per noi comuni cittadini che la tecnologia che permetterà di vivere per anni in una navicella spaziale, in viaggio verso i confini del sistema solare, sia qualcosa che viene progettato per il bene dell'umanità.

All images © Stefano D'Amadio

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Thursday, December 13, 2012

Garden of Eden/Belgravia



(scritto in occasione della mostra Garden of Eden/Belgravia, fotografie di Jan Stradtmann, Bloo Gallery, 18 settembre - 3 novembre 2012)

Un uomo in giacca e cravatta osserva perplesso il telefono che tiene nella mano sinistra. Un altro uomo, di schiena, guarda lontano mentre espira con forza il fumo della sigaretta, attorno a lui il verde di un parco, un sole caldo che illumina il prato e gli alberi. Di fronte, un'inferriata guida lo sguardo tra le fronde, verso gli edifici attorno al parco: il mondo che circonda l'isola di quiete e a cui le figure eleganti devono ritornare. Altri uomini e donne popolano il giardino, a volte parlano tra loro, ma incastonati nei chiari e negli scuri sembrano incapaci di emettere suono.


Nella stessa città, a poche miglia dal giardino, una serie di auto di lusso, tutte Porsche, vegliano nella notte sulle abitazioni dei loro proprietari, parcheggiate fuori dall'ingresso di una serie di villette di un quartiere residenziale. Così simili tra loro da sembrare un segno di riconoscimento, il marchio di un'appartenenza, ma anche un monito per il forestiero.

Il giardino è una piccola macchia di verde nascosta dentro Canary Wharf, uno dei distretti finanziari della città di Londra, mentre le Porsche riposano tutte assieme nella zona residenziale di Belgravia, tra le più ricche della capitale britannica. Forse alcune delle figure eleganti del giardino la sera tornano a casa proprio a Belgravia, o lavorano per compagnie possedute da residenti del quartiere: c'è una migrazione quotidiana dal lusso discreto di quelle strade alla ricchezza ostentata delle torri finanzarie che attorniano il parco.



Garden of Eden e Belgravia di Jan Stradtmann esplorano gli orli visibili del mondo della finanza contemporanea, i luoghi appena fuori dal castello dove crescono, svaniscono, cambiano di mano i capitali intangibili dell'attuale crisi finanziaria. In un'epoca di sconvolgimento della ricchezza mondiale di cui si fatica a individuare i connotati, le fotografie di Stradtmann riescono a mostrare nascondendo, facendo sentire l'assenza di ciò che non palesano.

Da anni vediamo sui giornali e in tv le stesse immagini di crolli di borse, paesi sull'orlo del fallimento, proteste popolari: neo-licenziati con la scatola di cartone in mano, grafici che puntano verso il basso, broker con la testa tra le mani. Oppure manifestanti che urlano, dettagli di banconote, simboli del dollaro. Una crisi che ha raggiunto dimensioni globali, ma che ancora sfugge a una rappresentazione adeguata alla portata dell'evento.

Stradtmann ha scelto di mostrare alcuni degli attori principali dell'evento, gli operatori finanziari, usando le loro figure per esprimere la pressione immateriale ma all'apparenza inarrestabile che pesa sul destino di molte nazioni. La tensione palpabile che attraversa i loro corpi mentre si rifugiano per qualche minuto nel giardino suggerisce meglio
di qualsiasi indice di borsa il peso degli eventi di cui sono, o pretendono di essere artefici. Intanto le Porsche riposano come trofei davanti alle loro case, a rassicurare che nulla è cambiato e che la ricchezza continuerà a crescere, e il giardino nasconde i loro gesti nervosi, muto e impassibile di fronte alla paura del vuoto che concede loro di manifestare.



All images © Jan Stradtmann

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Sunday, December 9, 2012

Un'altra stagione


(dal catalogo della mostra Corpi di Reato. Un'archeologia visiva dei fenomeni mafiosi nell'Italia contemporanea. Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, 18 ottobre - 21 dicembre 2012. Scroll down for English text)

Rappresentare le mafie oggi pone di fronte al problema di quale immagine dare a un fenomeno che negli anni ha mutato volto, dopo decenni di lotta sanguinosa contro lo Stato. Ora lo scenario è mutato drasticamente, da anni si riflette sui cambiamenti di strategia delle organizzazioni criminali e si parla di una mafia che quasi non uccide più, confusa nella società civile, che prospera in una zona grigia dove i segni della sua presenza non possono essere cercati solo nella violenza. Pensare a come la mafia nel tempo è stata documentata in fotografia porta inevitabilmente al ricordo delle immagini di Letizia Battaglia, l'esempio più forte di cronistoria visiva e denuncia della violenza di Cosa Nostra. Corpi di Reato nasce dall'esigenza di cercare una nuova immagine delle mafie, per accogliere nelle fotografie il senso del cambiamento d'epoca che stiamo vivendo. Le immagini di Letizia Battaglia rappresentano un qui ed ora, un'accumulazione di eventi traumatici che compongono un quadro di conflitto permanente. Oggi che quelle armi sono state in parte deposte, che lo scontro con lo Stato ha cambiato terreno, nasce il bisogno di dare una nuovo significato alla rappresentazione del territorio e alla documentazione degli eventi.


Piuttosto che una sequenza di accadimenti, è emersa la necessita di mostrare uno stato di cose, un'insieme di condizioni che caratterizzano le forme di presenza diffusa delle mafie lungo il territorio italiano. Mafia invisibile, bianca, mafia liquida: sono tante le definizioni che negli anni si sono succedute per indicare queste nuove forme di esistenza. La stessa informazione sulla mafia appare da tempo frammentata, lontana dalle prime pagine in un'epoca non di grandi eventi tragici ma di uno stillicidio di episodi. Non c'è qui però la pretesa di realizzare un'inchiesta o un'indagine sui fatti, ma piuttosto il bisogno di raccogliere alcuni di questi eventi, contribuire a portarli via dal disordine delle notizie, farli esistere momentaneamente in uno stesso luogo. Utilizzarli come mappa per viaggiare nel paese, legare gli eventi tra loro per legare tra loro parti di territorio: un viaggio in Italia attraverso i segni della presenza mafiosa, attraverso la loro visibilità o invisibilità.



Viaggio in Italia è anche il titolo del celebre libro uscito nel 1984 curato da Luigi Ghirri, diventato poi il manifesto della scuola italiana di paesaggio. Quel lavoro collettivo di esplorazione fotografica del territorio nasceva proprio dall'esigenza di ripensare la rappresentazione del paesaggio, rivelando il fascino della quotidianità anonima dei luoghi, lontano dal bello pittorico e dalla monumentalità delle città. "Così il problema era di porsi di fronte al paesaggio come luogo ignorato e quindi emarginato, escluso", scriveva Carlo Arturo Quintavalle negli Appunti che aprivano il volume, "una ricerca dell'Italia dei margini, dell'ambiguità, del finto, del doppio, dell'Italia sostanzialmente esclusa, dell'Italia che però è anche la sola che noi conosciamo". Corpi di Reato comincia anche dal ricordare il senso del Viaggio in Italia, così come è condensato nelle parole di Quintavalle: seguire le tracce della mafie nel nostro paese significa cercare luoghi dimenticati, quasi scomparsi, significa incontrare strade anonime di città e provincia dove i capimafia di oggi vivono come normali cittadini; oppure tornare nel passato, nel castello mediceo dove i familiari di Raffaele Cutolo trent'anni fa regnavano come sovrani, in un'epoca dove i boss facevano sfoggio del loro potere. Memoria e presente convivono nei luoghi esplorati, negli oggetti, nel paesaggio. Distinguerli, confrontarli diventa il compito che si chiede alla fotografia.                                                                                                             

La lezione di Ghirri era quella del ritrovare lo stupore per i luoghi anonimi, incontrati su un cammino senza un percorso obbligato. Viaggiare in cerca dei segni della presenza mafiosa a volte significa invece cercare un luogo preciso, quell'angolo di strada, quel campo di grano, quella saracinesca, e poi trovarsi di fronte a spazi immobili, al nulla; vuol dire provare a rappresentare l'assenza, il vuoto. Ricordare allora non può più significare commemorare, ma diventa testimonianza della trasfigurazione delle cose, diventa la verifica dell'esistenza di un segno che rimandi a ciò che è accaduto. Il paesaggio a volte appare ferito, altre indifferente: può rivelare come mentire, e il compito della fotografia diventa rappresentarne l'ambiguità. La cicatrice di case abusive della collina di Pizzo Sella sovrasta Mondello come un corpo di reato, mentre il tramonto che cala sui Regi Lagni di Castel Volturno nasconde i veleni depositati nei corsi d'acqua della regione. Si avverte il bisogno di rivelare il suono che produce questa immobilità, osservarla per scoprire il minimo movimento: al punto di provare a uscire dalla fissità della fotografia utilizzando anche il video, e attraverso l'immagine in movimento cercare di suggerire come un luogo possa apparire prima dell'evento straordinario che l'ha segnato per sempre, rappresentare la quotidianità inconsapevole prima che venga travolta. Corpi di Reato vuole continuare a esplorare le tante periferie del territorio italiano, periferie che sono geografiche ma anche mentali: luoghi posti a margine, episodi spesso dimenticati che hanno perso il loro significato, vittime di un oblio che li ha resi eterno presente, come privi di storia.

(Corpi di Reato. Un'archeologia visiva dei fenomeni mafiosi nell'Italia contemporanea. Fotografie di Tommaso Bonaventura e Alessandro Imbriaco. Un progetto di ZONA a cura di Fabio Severo)



A different season 

Depicting the Italian mafias today poses the problem of what image to attribute to a phenomenon that has changed its face over the years, following decades of bloody struggle against the State. The scenario is drastically different now, and for years this has been reflected in the changing strategy of the criminal organisations. There is talk of a mafia that has almost stopped killing, as it mingles among civilian society and prospers in a grey area where the signs of its presence cannot be sought merely in violence. Thinking about how the mafia has been documented in photographs over the years inevitably brings to mind the pictures by Letizia Battaglia, the most striking example of a visual chronicle and denouncement of the most violent period in the history of Cosa Nostra. Corpi di Reato was born out of the need to seek a new image of the mafias in order to capture in photographs the sense of the changing epoch in which we live. Letizia Battaglia’s pictures represent a here and now, an accumulation of traumatic events that go to make up a picture of permanent conflict. Now that those arms have been partially laid down and the confrontation with the State has changed arena, it is necessary to give a new meaning to the depiction of the territory and the documentation of events.



Rather than a series of events, there is a need to show the state of things, the set of conditions that characterise the forms of widespread presence of the mafias throughout Italy. Invisible mafia, white mafia, liquid mafia: many different definitions have been used over the years to indicate these new forms of existence. Information itself on the mafia has long appeared fragmented, far removed from the front pages in an age of a steady stream of episodes rather than great tragic events. However, this work does not pretend to be an examination or an investigation of events, but is instead an expression of the need to gather some of them together, helping to isolate them from the confusion of the news, and allow them to exist for a moment in the same place. It uses them as a map for travelling in Italy, connecting different events to each other to connect different parts of the country to each other. It is a journey through Italy through the signs of mafia presence, through their visibility or invisibility.



Viaggio in Italia (“Journey through Italy”) is also the title of the famous book published in 1984 and curated by Luigi Ghirri, which subsequently became the manifesto of the Italian landscape school. That collective work of photographic exploration of the country was spawned precisely by the need to rethink the depiction of the landscape, revealing the allure of the anonymous everyday nature of the places depicted, far removed from the picturesque beauty and monumentality of the cities. “The problem was thus to approach the landscape as an unknown and therefore emarginated, excluded place”, Carlo Arturo Quintavalle wrote in his comments at the beginning of the book. “A quest for a marginal, ambiguous fake, dual Italy, a substantially excluded Italy, which is nonetheless the only Italy we know.” Corpi di Reato also begins by recalling the lesson of Viaggio in Italia, as summed up in the words of Quintavalle: following the traces of the mafia in our country means seeking forgotten places, which have almost disappeared; it means encountering the anonymous streets of the cities and provinces where today's mafia bosses live like normal citizens; or returning to the past, in the Castello Mediceo of Ottaviano, where the family of Raffaele Cutolo ruled like kings thirty years ago, in an age in which bosses flaunted their power. Memories live side by side with the present in the places explored, in the objects and in the landscape. It is photography’s task to distinguish and compare them.


Ghirri’s lesson was the rediscovery of astonishment for the anonymous places encountered on an itinerary with no fixed route. Travelling in search of the signs of mafia presence, on the other hand, sometimes means seeking a precise place – that street corner, that cornfield, that shutter – and then finding yourself looking at immobile spaces, at nothing; it means attempting to represent absence, emptiness. In this case remembering cannot mean commemorating, but becomes a testimony of the transfiguration of things, the verification of the existence of a sign referring to what has happened. The landscape sometimes appears scarred, at others indifferent: it may reveal or it may lie, and it is the job of the photographer to depict its ambiguity. The scar of the illegally built housing on the Pizzo Sella hill overshadows Mondello like a corpus delicti, whilst the setting sun over the Regi Lagni of Castel Volturno hides the poisons discharged into the watercourses of the region. One feels the need to reveal the sound that produces this immobility, to observe it in order to discover the tiniest movement, to the point of trying to escape the fixed nature of photography by using video as well, employing the moving image to try to suggest how a place may have appeared prior to the extraordinary event that has marked it forever, depicting oblivious everyday life before it is swept away. Corpi di Reato aims to continue exploring the many outer city areas in Italy, outskirts that are geographical but also mental: places situated on the edge, frequently forgotten episodes that have lost their meaning, victims of oblivion that has made them eternally present, as though devoid of history.


All images © Tommaso Bonaventura/Alessandro Imbriaco

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Friday, December 7, 2012

The Arab Revolt


(testo introduttivo per la mostra The Arab Revolt, fotografie di Giorgio Di Noto, s.t.foto libreria galleria, 22 ottobre - 1 dicembre 2012)

Di questi tempi le fotografie raramente fanno notizia. Le indagini di Scotland Yard sugli eventi che hanno portato alla morte di Benazir Bhutto hanno utilizzato video amatoriali girati con telefoni cellulari molto più che fotografie scattate da professionisti. Negli ultimi anni alcune delle immagini più significative di eventi storici come l'11 settembre, Abu Ghraib, lo tsunami e l'uragano Katrina sono stati documentati da persone comuni che si trovavano lì per caso con i loro telefonini o videocamere. Che cosa sigifica tutto questo per il fotoreporter, che è stato il nostro emissario dalle prime linee del mondo sin dalla guerra civile spagnola? (Adam Broomberg & Oliver Chanarin, Unconcerned but not Indifferent, 2008)

Le rivolte scoppiate in Medio Oriente e Nord Africa a partire dalla fine del 2010 rappresentano un territorio nuovo per la copertura mediatica internazionale. Alternando fasi di estrema difficoltà di accesso agli eventi con momenti di assoluta prossimità al cuore della storia, la rappresentazione della cosiddetta “primavera araba” è nata da un insieme eterogeneo di mass media, giornalismo d’assalto, video e fotografie amatoriali.


 The Arab Revolt parte proprio da questo tappeto visivo, spesso anonimo: le fotografie, realizzate con pellicole istantanee, mostrano scene tratte da video girati nelle strade e nei campi di battaglia di Tunisia, Libia e Egitto, rifotografate dallo schermo del computer. I frame nascosti nei filmati prendono così nuova vita sotto la superficie fotografica, dilatandosi e diventando nuove immagini, come se il loro contenuto potesse ricrearsi fermandone lo scorrimento. Ciò che era nato come un contenuto grezzo e confuso, un flusso di fotogrammi che inseguono gli eventi che accadono attorno all'obiettivo, in questo modo ridiventa rappresentazione, costruzione di un'immagine, tempo dilatato. Abbiamo guardato miriadi di fotografie di queste rivolte, senza sosta, ma anche senza il tempo di osservarle, ammassate, perse tra troppe pagine da sfogliare, subito dimenticate e sostituite continuamente da nuove fotografie. Di fronte al paradosso di immagini che pur immortalando eventi poi svaniscono istantaneamente, The Arab Revolt prova a documentare l’immaginario stesso che abbiamo della primavera araba, trattenendo una manciata di fotogrammi tra l’infinità che ci scorre davanti, per proporre un piccolo alfabeto della nostra memoria visiva.

All images © Giorgio Di Noto

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romka magazine


Just received the latest issue of romka magazine, an indipendent photography magazine founded and edited by Joscha Bruckert and designed by Benedikt Bock, from Leipzig, Germany. Issue #7 gathers 58 photographers from 21 countries, amateurs and professionals, who each chose one single photograph to share and write what makes that photograph important for themselves. The magazine also has a couple of hidden treasures of found photos and secret albums, and quite a pleasant design. 1500 copies were made, make sure you get your own. Editor Joscha writes on the website that he "spends more time at his desk than any human being should", but I'd say the magazine is worth the pain.


Appena ricevuto l'ultimo numero di romka magazine, una rivista di fotografia fondata da Joscha Bruckert e con il design di Benedikt Bock, da Lipsia. Questo numero 7 raccoglie 58 fotografi da 21 nazioni diverse, dilettanti e professionisti, tutti chiamati a scegliere una singola fotografia da pubblicare, scrivendo cosa li lega in particolare a quell'immagine tra le tante realizzate. La rivista ha anche alcuni piccoli tesori nascosti, tra album segreti e fotografie trovate, ed inoltre è ben disegnata. Tiratura 1500 copie, affrettatevi: Joscha scrive che "passa alla sua scrivania più tempo di quanto qualsiasi essere umano dovrebbe", ma direi che in fondo ne è valsa la pena.

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Thursday, December 6, 2012

La fotografia anonima: un archivio di fantasmi

Postcard No. 35, da Mrs. Merryman's Collection

(pubblicato su Orwell del 1 dicembre 2012)

 L’idea di “archivio” è ormai entrata a pieno titolo nel discorso sulla fotografia come espressione artistica, libera da rigori metodologici e intesa come “identità collettiva di un gruppo di fotografie ”, come la possibilità per queste di esistere anche senza un autore: la fotografia anonima rivela ciclicamente tesori nascosti, permettendo la riscoperta di una freschezza della visione che si temeva perduta a causa della nostra sovraesposizione all’immagine fotografica. L’autore diventa così a volte un ingombro, un filtro concettuale che finisce con l’allontanarci dalle immagini.

  Mike Mandel & Larry Sultan, Evidence, 1977

Nel 1977 due fotografi americani, Larry Sultan e Mike Mandel, pubblicano un libro intitolato Evidence. In copertina il semplice titolo su fondo blu scuro, dentro una sequenza di immagini in bianco e nero prese da un lungo elenco di istituti scientifici, uffici governativi, dipartimenti di polizia e industrie degli Stati Uniti. Nessuna spiegazione accompagna le fotografie, una sequenza di oggetti, procedure e luoghi incomprensibili: un gruppo di letti disposti in mezzo a un prato, uomini in giacca e cravatta che camminano in un mare di schiuma, una tuta d’astronauta stesa su una moquette da ufficio. Nate da oscure esigenze aziendali, le immagini lasciano nell’incapacità di comprendere il senso delle operazioni fotografate, si trasformano da banali rilievi destinati a qualche schedario in enigmi fotografici dove ogni superficie, ogni particolare ci offre la libertà di immaginare il senso di ciò che vediamo.

Mike Mandel & Larry Sultan, Evidence, 1977

Un anno dopo l’uscita del libro di Mandel e Sultan, lo scrittore e fotografo Wright Morris scriveva nel suo saggio In Our Image a proposito del crescente dibattito sull’autorialità fotografica: “In questa fase della breve storia dell’immagine fotografica, l’emergere della figura del fotografo avviene a spese della fotografia, del miracoloso... Non è forse ironico che l’ascesa della fotografia allo status di vera arte accada proprio quando questo status viene messo in discussione?”. Continua Morris: “Che cosa guadagniamo o perdiamo quando il fotografo rimpiazza la fotografia, quando lo shock del riconoscimento lascia il posto all’esercizio del gusto? Nella fotografia anonima, la perdita del fotografo spesso si rivela essere un guadagno. Ciò che vediamo è soltanto la fotografia”.
Postcard No. 35, da Mrs. Merryman's Collection

Mrs Merryman’s Collection è il titolo di un libro pubblicato nel 2012 dalla casa editrice Mack, presentato come una raccolta di cartoline appartenute a una donna inglese di nome Anne-Marie Merryman. All’inizio del libro sua nipote Anne-Sophie ci racconta della collezione ereditata dalla nonna in una scatola di legno: scrive che non si tratta di cartoline inviate o ricevute dalla nonna, che raramente ha viaggiato nel corso della sua vita, ma una collezione coltivata nel tempo, per amore delle immagini riprodotte su di esse. Le fotografie appaiono ingiallite, timbri postali e parole scritte in un corsivo antico adornano scene insolite o sfuggenti: un uomo con il volto coperto disteso su un terreno arido, dei polli spennati ammassati su un piatto, mani che distendono un telo bianco, un manichino in frac davanti a un sipario. Il retro delle cartoline ci dà informazioni contraddittorie: due righe di saluti in italiano da S. Albano Stura del 1918 indirizzate a un militare in “Zona di Guerra” con un francobollo del Sudan francese timbrato nel 1915, un messaggio da Zurigo è accompagnato da un timbro di Buenos Aires e da un’affrancatura libica. Eppure il mondo che si forma attraverso le immagini e i messaggi appare coerente, epoche e geografie distanti trovano un luogo comune che prescinde da un senso logico, un altrove di cui tutte sembrano fare parte. Sospese tra i fantasmi della fotografia spiritica del XIX secolo e la banale assurdità degli objet trouvé surrealisti, le fotografie della collezione di Mrs Merryman rendono paradossale il luogo in cui esistono, la cartolina appunto. Momento per eccellenza del ricordo, della visione come memoria e riconoscimento, l’intimità della cartolina e della scrittura privata degli affetti viene capovolta di senso con delle scene che non offrono un chiaro referente.


Postcard No. 41, da Mrs. Merryman's Collection

“La gioia di trovarmi nel regno dell’immaginazione ha incoraggiato la mia crescente fascinazione per il racconto e la finzione, e mi ha forse spinto a intraprendere la mia carriera di attrice ”, scrive Anne-Sophie, la custode della collezione. La scatola di legno, la raccolta paziente di oggetti nel tempo, cariche di una suggestione di realtà rafforzata dall’uso dell’immagine fotografica, diventano il punto di partenza delle libere associazioni che nascono guardando quelle immagini. Trasformano la memoria dei luoghi e dell’è stato di memoria barthesiana nel ricordo delle sensazioni provate nell’ascoltare un racconto di fantasia. L’importante non è l’eventuale verità di fotografie e nomi riportati sulle cartoline, ma la sospensione dell’incredulità che quegli oggetti ci concedono.

Due idee di archivio, due modi di intendere la fotografia anonima: Mandel e Sultan liberano le immagini dal contesto che le ha generate e chiedono all’osservatore di trovare nuovo senso nel loro linguaggio, la collezione di Mrs Merryman regala l’illusione della scatola di legno per provare a immaginare il mondo di cui quelle cartoline sarebbero i frammenti. In modo diverso ma con esito analogo, sia Evidence che Mrs Merryman’s Collection interrogano il rapporto tra l’autore e le fotografie, tra il contenuto manifesto e la comunicazione estetica attivata dalle immagini. Ma il centro di questa riflessione non può più essere il “miracolo ” dell’immagine fotografica intesa come una forma di purezza liberata dal peso dello stile o dell’autore, come scriveva Morris. Oggi che la fotografia è arrivata a essere anonima più che mai, è necessario riportare al centro della riflessione la necessità della creatività dello sguardo di fronte alle fotografie: quella creatività che Mandel e Sultan ci chiedevano per reinventarci le contorte fotografie di funzionari governativi, quell’intelligenza emotiva che Mrs Merryman ci chiede per credere alle sue cartoline illustrate, dove il prima e il dopo non hanno più senso, e i luoghi non sono mai troppo lontani.


Postcard No. 11, da Mrs. Merryman's Collection
Mrs Merryman's Collection, presented by Anne-Sophie Merryman, Mack, 2012

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Wednesday, August 29, 2012

Si Fest #21 - Learning from Photography


SI Fest will have its 21st edition on September 14-16, with many excellent exhibitions, workshops, lectures and portfolio reviews. Like last year, the reviews will be for both portfolios and book dummies. I will be among the reviewers in both sessions, so please come and say hi if you're around.

Among the many interesting artists on show this year, just to mention a few:

- Mark Steinmetz, Raymond Wouda and Guido Guidi will present their new work for the festival's Sin_Tesis project in a group show which will present the whole series of the commissioned projects from these past four years, featuring also Marco Zanta, Andrew Phelps, Simon Roberts and Martin Parr;

- Mark Power's The Sound of Two Songs, a five-year work about contemporary Poland;

- Alessandro Imbriaco will present Angela's Garden, winner of the 2012 European Publishers of the Year Award;

- Life after Zero Hour, a collaboration between Massimo Mastrorillo and Donald Weber, a personal investigation about Japan after the 2011 tsunami.

- Hans Christian Schink's 1h, with his series of solarized sun paths across the world.

And that was just a starter, come to Savignano and see the rest for yourself!

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Monday, August 27, 2012

Corpi di Reato


Tornato dopo una lunga assenza, ho pensato che il modo migliore per resuscitare questo blog fosse dare un aggiornamento su attività fotografiche che mi hanno visto coinvolto negli ultimi tempi:

un anno fa, Tommaso Bonaventura e Alessandro Imbriaco mi hanno proposto di curare un nuovo progetto fotografico che avevano in programma di realizzare insieme: il risultato, dopo mesi di intenso lavoro, è Corpi di Reato, un viaggio in Italia alla ricerca dei segni della presenza mafiosa lungo il territorio del paese, da nord a sud.


Dal testo di presentazione del lavoro:

"Da tempo la mafia viene percepita come una realtà dispersa, multiforme, quasi invisibile. Dopo gli anni ’90 e il culmine della stagione stragista, la criminalità organizzata in Italia ha progressivamente cambiato volto, confondendosi sempre di più nel tessuto politico e economico del paese.

Corpi di Reato vuole contrastare questa dispersione, per ridare alle mafie un orizzonte visibile seguendo i tanti segni lasciati sul territorio, ma anche mostrare il vuoto, l’assenza provocati dall’azione criminale.

[...]

 Già dieci anni fa si diceva che le mafie stessero diventando invisibili, celate dietro una maschera di normalità: Corpi di Reato vuole tentare di ridare un’immagine alle mafie, così da creare un filo visivo che unisca la stagione cruenta di vent’anni fa alla zona grigia dove invece prosperano oggi".


La gallery presentata on line è soltanto un breve estratto dal progetto (ancora in progress), dove viene presentato anche un assaggio dell'interazione tra fotografie, video e materiali di archivio su cui stiamo ancora lavorando.

Corpi di Reato sarà presentato all'interno di Fotografia - Festival Internazionale di Roma, con una mostra presso l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) dal 18 ottobre al 22 novembre.



Corpi di Reato è un progetto di ZONA, una nuova associazione che promuove, produce e diffonde progetti che raccontano il presente attraverso le immagini.



Back after a long absence, I thought the best way to resuscitate this blog was to share some news and informations about photography-related activities I have been involved in over the last months:

One year ago, Tommaso Bonaventura and Alessandro Imbriaco proposed me to curate a new photographic project they were planning to shoot together. The result has been an intense year-long work which led to Corpi di Reato (Bodies of Evidence), a journey through the Italian landscape in search of signs of the presence of the mafia across the country, from north to south.

From the text introducing the work:

"For a long time the mafia has been perceived as a scattered, multiform, almost invisible entity. After the 1990s and the height of a sweep of bloodshed, organized crime in Italy slowly changed its appearance and began to blend in with the political and economic fabric of the country.

Corpi di reato proposes to contrast this dispersion and restore a tangible sightline of the mafia by retracing the marks it left around the country. It also wants to show the void, the emptiness, that these criminal acts provoked.

[...]

As far back as ten years ago, it was said that the mafia was becoming invisible, concealed behind a mask of normality. Corpi di reato attempts to reproduce the mafia through images that create a visual thread joining the slew of massacres that occurred twenty years ago to the grey area where it thrives today".

The gallery presented online is just a short selection of images from the project (which is still in progress), where you can have an idea also of the interaction we are experimenting between photographs, video and archive stills and footage.

Corpi di Reato will be part of the Fotografia Rome's International Festival, with a show at the Central Institute for Cataloguing and Documentation (ICCD) from October 18 to November 23.



Corpi di Reato is a project by ZONA, a new association that promotes, develops, and fosters projects that chronicle the present-day through images.


All images © Tommaso Bonaventura/Alessandro Imbriaco

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Monday, May 21, 2012

Open range


"In my project, I am concerned with the imminent radical changes of tourist regions in Sri Lanka after the end of the civil war in 2009 that had lasted almost thirty years. In 2011, more than 750.000 tourists visited Sri Lanka - never before had so many tourists visited the country in one year. The government is aiming to achieve a number of 2.6 million tourists in the year of 2016 – in a few years, the tourist regions will change drastically." 


Yannik Willing's Before Tomorrow, presented in a large newspaper format, seems to embody perfectly the silent transformation of the country, showing a landscape where it is impossible to tell which are the scars from the past and what is the foundation for the future. Even the Srilankan people portrayed by Willing appear to be just waiting for what will come, unsure of how their life will change and how their land will look in a few year's time. 


"In questo lavoro ho scelto di riflettere sui drastici cambiamenti che toccheranno le regioni turistiche dello Sri Lanka dopo la fine, nel 2009, di una guerra civile durata trent'anni. Nel 2011 più di 750.000 turisti hanno visitato lo Sri Lanka: mai un così alto numero di persone ha visitato il paese nel corso di un anno. Il governo mira a raggiungere i 2,6 milioni di turisti nel 2016. Nell'arco di pochi anni queste regioni turistiche cambieranno comlpletamente."
 
Before Tomorrow di Yannik Willing, pubblicato dall'autore in un newspaper di grande formato, esprime perfettamente la trasformazione silenziosa dello Sri Lanka, mostrando un paesaggio dove sembra impossibile distingure tra i segni lasciati dal passato e la costruzione del futuro della regione. Anche le persone ritratte da Willing sembrano rassegnati a attendere ciò che accadrà, come ignari del modo in cui la loro vita cambierà, e di quale aspetto avrà la loro terra nell'arco di qualche anno.

All images © Yannik Willing

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Tuesday, May 8, 2012

A personal assignment. 'Chinese Bondage in Peru', by Wintergarten Ltd


A butterfly rests on a flower, two soldiers walk out of a thick smoke wearing gas masks, a pair of legs stands next to a table with a bottle of wine and some other indefinite objects. Short paragraphs appear in between the images, they sound like excerpts from a science report, some make sense but sound out of context, others are more extended but their meaning remains obscure despite their academic style, like cryptic meter-less poetry.


Chinese Bondage in Peru is a set of three small artists' books by Wintergarten Ltd, an art collective from Los Angeles. It features a collection of found photographs, printed matter and accompanying text revolving around the vague fictitious narrative of a North American journalist's travels between the the continents of Latin America and Asia, and its title is taken from an academic publication about the exploitation of Chinese migrant laborers in Peruvian guano pits by 19th century colonists. Like a documentary turned upside down, the more you flip through the pages of the books, the more any narrative or logic reference is progressively lost, as if the goal was exactly to subvert the illusionary self-evidence of the title and of the semantics of the texts, where although every word is clear, their common meaning remains elusive.


The same happens with the images, which at times seem to create short narrative segments, only to be controverted by the photographs in the following pages. What is surprising is the fact that, despite all this, the images stand beautifully together throughout the three volumes, as if immersed in the same music: that is obtained in different ways, like the newspaper chosen to print the set, the surface of which flattens the technical differences among the various photographs, giving them a beautiful monochrome opacity. The different photographic styles and subjects this way become like a collection of finds and leads, gathered to give the viewer a chance to discover what links one to the other.

Evidence by Mike Mandel and Larry Sultan was another book (perhaps ‘the’ book) collecting found photographs of obscure meaning. In that case the images shared the fact that they were showing unspecified activities relating to the public sphere, whether it was from corporate, scientific or government sources. Chinese Bondage in Peru could be considered like a sentimental version of Mandel & Sultan's book, where the source material is shaped in a personal diary, with both public events and private memories appearing and merging into each other, like the scattered recollections of a man suffering of amnesia, whose memory works in fits and starts, struggling to find the story behind all those flashes of images haunting his mind.


Una farfalla riposa su un fiore, due soldati con maschere antigas emergono da un fumo denso, due gambe accavallate stanno accanto a un tavolino con sopra una bottiglia di vino e altri oggetti indefiniti. Tra le immagini compaiono brevi paragrafi, sembrano passaggi di un qualche testo scientifico, alcuni dal senso piuttosto chiaro ma estrapolati arbitrariamente, altri più estesi ma incomprensibili nonostante il taglio fortemente accademico dello stile, oscure poesie prive di metrica.

Chinese Bondage in Peru è una pubblicazione in tre volumetti creata dal collettivo Wintergarten Ltd di Los Angeles: una collezione di fotografie anonime che segue le orme dei viaggi di un immaginario giornalista americano tra America Latina e Asia, seguendo la suggestione del titolo, preso in prestito da un saggio sullo sfruttamento della manodopera cinese nelle fosse di guano in Peru nel XIX secolo. Come un documentario capovolto, più si sfogliano le pagine dei tre fascicoli e più si perde ogni forma di coerenza logica e narrativa, come se l’intento fosse proprio di smentire la chiarezza espositiva del titolo e della semantica dei testi, dove spesso si comprende ogni parola ma non si è in grado di legarle in un significato comune.


Lo stesso accade con le immagini, che dànno l’illusione di creare piccoli segmenti narrativi, ma che vengono poi progressivamente smentiti dalle fotografie che incontriamo nelle pagine successive. Quello che stupisce è che, nonostante tutto, il percorso che si crea tra i tre capitoli del progetto sviluppa comunque una sua forma di coerenza, un rumore di fondo che accompagna la visione di tutte le immagini: a partire dalla carta di giornale con cui il piccolo set è stato realizzato, la cui superficie fibrosa livella le differenze tecniche tra le fotografie immergendole in un’opaca monocromia che crea una patina di ricordo, come se davvero quei volumetti fossero il tentativo di ricostruire qualcosa che è accaduto, una cronaca impossibile; i diversi stili e soggetti fotografici diventano come varie forme di indizi e reperti, raccolti per dare all’osservatore la possibilità di scoprire la trama che li unisce.


Anche Evidence di Larry Sultan e Mike Mandel mostrava una serie di fotografie anonime di difficile se non impossibile interpretazione, immagini che però avevano in comune il mostrare imprecisate attività afferenti a una sfera pubblica, corporativa o scientifica che fosse, e tutte venate da una cripticità che dava loro il giusto tocco cospiratorio. Chinese Bondage in Peru potrebbe essere considerato una sorta di versione sentimentale del libro di Sultan e Mandel, dove il materiale di partenza è stato trasformato in una specie di diario personale, dove eventi pubblici e memorie private si alternano e si trasformano gli uni nelle altre, come la ricostruzione stentata di una vittima di amnesia, la cui memoria funzioni a macchie, riattivandosi per brevi istanti in forma di immagini di cui non riesce a ricordare la storia.


CHINESE BONDAGE IN PERU, Volumes I, II & III, by Wintergarten Ltd. Softcover, 5.5 x 8.5". Black & white laserjet on newsprint, 2012. 

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Wednesday, May 2, 2012

Practice over theory

Cromie, 2009

Giulia Ticozzi could be described as quite an eclectic photographer, using the medium in many different ways and for different purposes in her various projects. It is even hard to isolate what could be summed up as her style, as in her case what seems to matter most are the ideas and then the process of bringing them to life.

Photography here is a tool, part of a wider palette of instruments aimed at producing visual contents, but also sometimes generating community experiences through the creative process. A chromatic catalogue of the buildings of a neighbourhood in Milan (Bande Nere, from the name of the area), a sequence of group photos from a project about “the human attitude of associating in groups in order to create units of common interests” (Self Categorization), or a series of books created together with the residents of a small town north of Milan (Il mio libro sei tu) are just some examples of the many lines of work the young artist has already put into place.

Bande Nere, 2009
 
Il mio libro sei tu is currently being presented as part of Art Around, a group of eight site-specific works created by various artists in the northern province of Milan, promoted by the Museum of Contemporary Photography of Cinisello Balsamo.

Bande Nere, 2009

I lavori di Giulia Ticozzi si potrebbero descrivere come esempi di un forte eclettismo fotografico, dove il mezzo viene utilizzato in modi molto differenti e per diversi scopi a seconda dei vari progetti che ha realizzato. Risulta anche difficile identificare un preciso stile fotografico, in una ricerca dove sembrano contare più le idee e il percorso scelto per realizzarle.

RIVEDERTI E' UN PIACERE, 2009

Qui la fotografia sembra essere un semplice strumento, parte di una più ampia selezione di risorse indirizzate sia a produrre dei contenuti sia a generare delle esperienze umane e di relazione attraverso il processo creativo. Un catalogo cromatico di edifici di un quartiere di Milano (Bande Nere, dal nome della zona), una sequenza di foto di gruppi di persone parte di un lavoro “sull’attitudine umana di associarsi a gruppi allo scopo di creare unità di interessi comuni” (Self Categorization), oppure una serie di libri realizzati con la comunità dei residenti di una piccola città a nord di Milano (Il mio libro sei tu) sono solo alcuni esempi tra i vari progetti già realizzati dalla giovane artista.

Self Categorization, (ongoing)
  
Il mio libro sei tu viene presentato in questi giorni all’interno di Art Around, una serie di progetti site-specific realizzati da otto artisti nel territorio a nord di Milano e ideata dal Museo Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo.

Buchi, 2008

All images © Giulia Ticozzi

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