Wednesday, December 19, 2012

Giove e oltre l'infinito


 Giove e oltre l'infinito. Le forme dell'ingegneria aerospaziale

(testo scritto per la mostra HAL 9000, fotografie di Stefano D'Amadio, B>Gallery, 28 settembre - 14 ottobre 2012) 


 In 2001: Odissea nello Spazio, il calcolatore HAL 9000 si rivolta contro gli esseri umani che assiste in una missione spaziale perché viene scoperto in errore, non avendo rilevato un malfunzionamento all'antenna principale dell'astronave Discovery che li sta portando verso Giove. La macchina "incapace di commettere errore" cade in un conflitto di priorità tra proteggere gli astronauti e proteggere la missione, costringendo il comandante David Bowman a disattivarla per salvare la propria vita. Da decenni ormai il cerchio rosso che nel film rappresenta l'occhio di HAL incarna insieme alle superfici bianche dell'interno della Discovery il nostro immaginario delle imprese aerospaziali, l'essenza del rapporto uomo-macchina così come è stato immaginato con gli ambienti sterili e i rumori sordi del film di Stanley Kubrick. Per questo, non appena osserviamo dei luoghi reali come i laboratori di scienza e ingegneria aerospaziale della Thales Alenia Space, lo sguardo compensa la difficoltà nel comprendere il lavoro che si svolge al loro interno tornando con la memoria ai corridoi e agli schermi elettronici di 2001.


Si prova una forma di smarrimento nell'esplorare quegli ambienti, provocato dall'aspetto dei macchinari che vengono assemblati al loro interno, dalle superfici e dai materiali che li rivestono, dai colori di cui non capiamo la ragione. E soprattutto smarrisce osservare gli uomini e le donne che si muovono attorno ad essi, mentre toccano delicatamente una leva o una giuntura dei vari monoliti tecnologici, vestiti con camici bianchi come dei medici. Difficile comprendere perché siano necessari guanti di lattice e una cuffia per capelli mentre si lavora a un macchinario che appare fatto di solo metallo e fibra di carbonio, arduo intuire che cosa lo renda così delicato da richiedere simili precauzioni.


HAL 9000 di Stefano D'Amadio nasce proprio da questa unione di pesantezza e fragilità espressa dal mondo dei laboratori della Thales, dove squadre di ingegneri, fisici e tecnici specializzati realizzano infrastrutture orbitanti dividendosi tra turbine grandi decine di metri e micro-serre dove si sperimenta la crescita in orbita di piccoli germogli di piante. La forma degli oggetti e dei macchinari che popolano i laboratori Thales disorienta, il loro aspetto appare determinato esclusivamente dalla loro funzione, difficile rinvenire tracce di un'estetica che sia stata concepita per essere guardata. Eppure ci sforziamo di provare a comprenderli, per decifrarne lo scopo e l'immagine, per provare a legarli al progetto scientifico che li ha resi necessari. Le forme circolari di diverse strutture sono tra le poche immagini che ci danno un senso di compimento e di naturalezza, tra mappe infinite di circuiti stampati e tubature che si arrampicano su colossi metallici. Come HAL 9000 si presentava all'uomo nella forma di un'iride rossa, così il cerchio torna a suggerire in questi laboratori un'armonia di forma e idea, una rassicurazione per noi comuni cittadini che la tecnologia che permetterà di vivere per anni in una navicella spaziale, in viaggio verso i confini del sistema solare, sia qualcosa che viene progettato per il bene dell'umanità.

All images © Stefano D'Amadio

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