Wednesday, June 11, 2008

Everyday Life

© Darin Mickey

Darin Mickey
è autore del bel libro Stuff I gotta remember not to forget, che racconta le (dis)avventure del padre tra lavoro, casa, moglie e tv dinners.
Sono adesso online altri suoi lavori, che proseguono l’esplorazione della vita di provincia americana, una sequenza dolce amara di interni ed esterni di un mondo che fa pensare a Stephen Shore in missione nella Springfield dei Simpson.

Darin Mickey
is the author of the beautiful book
Stuff I gotta remember not to forget, the (mis)adventures of his father stuck between work, home, wife and tv dinners.
More work from Mickey is now online, continuing the exploration of an American suburban existence, a bittersweet sequence of interiors and exteriors of a world that looks as if Stephen Shore were on assignment in the Simspon family’s Springfield town.


© Darin Mickey

4 comments:

Anonymous said...

Hippolyte, perchè il libro di Darin Mickey é fotograficamente un bel libro?
grazie,
marco

Fabio Severo said...

Lo trovo bello perché racconta con le immagini, che appunto spesso sono in una zona di confine tra 'realtà' e 'finzione'. Uso le virgolette perché si tratta comunque di codici visivi, che Mickey usa in un modo bello, muovendosi da paesaggi a ritratti fino a dettagli di oggetti non per una mera scansione del racconto stile storyboard, ma riuscendo a 'caricare' del senso della sua storia quasi tutte le immagini.
Un solo esempio: il padre che si asciuga il sudore di fronte al superiore, superiore di grado e visivamente, di dimensione, e poi il dettaglio delle giacche nell'armadio, quella sfilza di variazioni dell'uguale che lo aspettano ogni mattina. Non è uno 'stacco' stile cinema, come spesso accade in lavori dove immagini vuote, quasi nature morte servono a scandire le altre, qui ci trovo continuità, ci trovo l'uso di un linguaggio fotografico che per quanto piuttosto diffuso, qui è utilizzato con un valore aggiunto di intelligenza visiva.

Anonymous said...

Grazie della risposta, mi é chiaro il tuo pensiero e allo stesso tempo apre altri fronti di discussione. Trovo che lo spazio del web però sacrifichi certe discussione che inevitabilmente richiederebbero di guardare altre immagini, almeno per me, perchè riferimento di visioni e di diverse intelligenze visive.
Accettando la lettura che ne fai, se non ho capito male, l'uso del linguaggio si articola nel rapporto tra una dimensione del contenuto...le giacche, la relazione con il capo...la costruzione di un senso articolato attraverso la sequenza e un linguaggio fotografico, parlo sul piano visivo, scarnificato, privo di ogni riferimento retorico di qualsiasi genere anche di quello, come dici anche tu, di un certo linguaggio contemporaneo, piuttosto diffuso, che ha ormai ampiamente costruito una propria retorica. Anche se mi pare ci assomigli ancora, soprattutto in alcune immagini.
grazie
marco

Fabio Severo said...

Il web limita, eccome... per fare un paio di cose benino se ne sacrficano molte altre.
La discussione potrebbe continuare per molto, ma già alcuni punti li abbiamo tirati fuori.
Sulla forma del blog gli interrogativi (personalmente) ci sono: la doppia lingua, il confine tra apprezzamento generico e l'analisi, lavorare in orizzontale, nel senso della quantità, oppure restringere e andare più in profondità, e altro ancora.
Diciamo che per ora Hippolyte Bayard resta una piattaforma, che cresce per piccole modifiche o aggiustamenti, poi più in là nel tempo, chissà.

Grazie e a presto