Monday, February 21, 2011

Tripoli

From BBC News, February 22, 2011:

"Security forces and protesters have clashed in Libya's capital for a second night, after the government announced a new crackdown.

Witnesses say warplanes have fired on protesters in Tripoli.

To the west of the city, sources say the army is fighting forces loyal to ruler Col Muammar Gaddafi, who appears to be struggling to hold on to power.

Libya's deputy envoy to the UN has called on Col Gaddafi to step down, and accused his government of genocide.

Ibrahim Dabbashi said that if Col Gaddafi did not relinquish power, "the Libyan people will get rid of him"."

"...warplanes have fired on protesters..."

The situation in Libya is one of the most dramatic examples of scarcity of informations of all kinds and gravity of the events taking place. These days the country is shut down, and free reporting is almost impossible. But today's medias allow informations to leak somehow anyway, and we read all these fragments of life (and death) as they are happening, which make them sound a bit like bursts lost in silence.

In-between these bursts, you might feel like you want to see something actually coming from there, lay your eyes on pieces of that land, to have the feeling or at least the illusion you can picture what is happening right now. Marco Zanta traveled to Tripoli many times over the last months, and these days his images seem to me the perfect place to go to think about all we are hearing from that city, all those things so huge we can barely imagine them.

All images taken from La Città © Marco Zanta

20 comments:

Unknown said...

Wonderful landscapes!

massimo said...

STUPENDI PAESAGGI! (??)
LA RELAZIONE CHE MI CONNETTE ALLA CRUDA REALTà
CON LA SITUAZIONE ATTUALE DELLA LIBIA DOVE CONVERGE CON LE SPLENDIDE IMMAGINI DI MARCO ZANTA? COME EMERGE LA TENSIONE DEL VIVERE ALL' INTERNO DI UN REGIME, ALLA RISPOSTA ESTETICA DI QUESTO REPORTAGE? INTRAVEDO COMUNQUE NELLE IMMAGINI UN' ABBANDONO, NEI MURI, NEI VOLTI DISTANTI, MA QUESTI NON ADERISCONO ALLA FORMA DATA ALLE FOTOGRAFIE. UN LUOGO SUGGERISCE IL MODO DI GUARDARLO, LA SUA SOCIETà INDICA LA STRADA PER AVVICINARSI ALLA SUA VERITà, ALLA SUA IMMAGINE PIù REALE, MA QUESTO RICHIEDE MOLTA ESPERIENZA ALL' INTERNO DI QUELL' AMBIENTE.
MI CHIEDO SE è GIUSTO SVELARE CON IL NOSTRO GUSTO, CON LA NOSTRA CULTURA DEL VEDERE, AMBIENTI E REALTà DISTANTI DALLA NOSTRA ESPERIENZA. UNO SPLENDIDO ARTICOLO SU REPUBBLICA DI QUALCHE GIORNO FA INDICAVA COME IN QUESTI PAESI, INTERNET AVESSE PORTATO LE NOSTRE IMMAGINI E LA NOSTRA REALTà ALL' INTERNO DI QUESTE SOCIETà E COME ORA, QUESTE SOCIETà,STANNO MODIFICANDO LA LORO IDENTITà, ADERENDO ALLA NOSTRA. QUESTO è UN FATTO MOLTO INTERESSANTE.IL POTERE DELL' IMMAGINE SEDUCENTE OMOGENEIZZA TUTTO.

massimo said...

http://www.hippolytebayard.com/search?q=PIETER+HUGO&x=7&y=7

magicamente il mio commento (mi ha fatto notare un amico) è sparito dalla sezione dedicata al proprio pensiero critico. Spero sia un errore di programma, in caso contrario, perchè censurare le idee? Nel link sopra, il blogger esprime la propria idea sulle immagini di Hugo, spero che anche agli altri sia concesso la stessa cosa. Prossimamente scriverò quanto espresso ieri sulle immagini di Marco Zanta, sperando di credere che le riflessioni servano al dialogo.

Fabio Severo said...

@ massimo: non so davvero cosa sia successo al tuo commento precedente, l'ho letto ieri e l'ho trovato molto interessante, posso assicurarti che non e' stato rimosso intenzionalmente. Mi dispiace per l'inspiegabile inconveniente tecnico, non era mai successo prima.

Fabio Severo
- Hippolyte Bayard

massimo said...

(Grazie Fabio per il tuo commento che toglie ogni dubbio)

non ricordo le parole utilizzate ieri, ma il principio era il seguente: dove si congiunge, quanto arriva dai lampi delle notizie tragiche della Libia, quel luogo ideale per pensare quel poco che possiamo immaginare (di Tripoli suppongo), attraverso le immagini di Zanta?
Tragicità (intravedo dai volti lontani e dalle architetture decrepite) e bellezza (il nostro modo "occidentale" di vedere applicato alla distanza culturale di quei luoghi.
Dov' è la logica? L' intersezione? Le immagini seducenti di Zanta suscitano impressione, il loro utilizzo è estetico, non politico. L' articolo che appariva giorni fa su Repubblica diceva che con internet, le nostre immagini sono arrivate in quei luoghi, modificando nella gente il desiderio e la percezione della loro realtà. è giusto ribellarsi ai regimi, ma è giusto che le nostre immagini seducenti omogeneizzino tutto? L' argomento andrebbe trattato approfonditamente..
Nelle immagini di Zanta vedo il modello estetico, ma quel luogo sembra non aver suggerito all' autore il giusto modo per avvicinarsi al cuore della sua vita, della sua realtà (tragica).
massimo

federico said...

Il compito che spesso affidiamo alla fotografia è quello di darci delle risposte. Di trovare in essa un appiglio per confermare le nostre riflessioni o troppo spesso le nostre sicure certezze.
La pubblicità, la comunicazione di massa e un giornalismo seduto su se stesso, ci inondano quotidianamente difronte a tutto questo.
La fotografia è certezza?
Veramente la fotografia può ricoprire questo compito difficile?

Quando invece la Fotografia si allontana da tutto questo, quando si pone come complice del dubbio e della sospensione, non riusciamo a leggerla. Se io non trovo delle risposte nelle immagini, forse sono gli interrogativi che l'immagine stessa pone a dover essere presi in esame.
In queste poche fotografie, suppongo estrapolate da una ricerca più ampia, ciò che vediamo sono pezzi di città in rovina e abbandono. Si ha l'impressione di essere davanti ad un evento tragico, ma è la quotidianità.
Ma cosa è successo? Siamo a pochi km dall'italia, come facciamo a non sapere quali eventi sono accaduti in quei luoghi. Forse non abbiamo letto i giornali quando eravamo in vacanza la mare?
La risposta è più semplice ed è prettamente politica, noi giriamo la testa dall'altra parte per non guardare anche le nostre colpe passate e presenti. Vi è mai capitato di leggere la storia libica? l'oppressione fascista? l'occupazione dei territori? gli effetti del colonialismo? la storia del regime?
Ci siamo mai chiesti se trattare affari economici con un dittatore può avere delle implicazioni etiche?
Ci servono ancora immagini cruenti di lotte di piazza, morti, case distrutte per avere un idea politica di quello che è la realtà vissuta in quel paese?
Se a qualcuno è sfuggito non molto tempo fa è uscito un mirabile documentario che dovrebbe essere guardato in tutte le scuole “Come un uomo sulla terra” di Riccardo Biadene, Andrea Segre, Dagmawi Yimer. Riusciremmo ad imparare qual'è il significato della parola uomo.

massimo said...

Il compito lo affidiamo alla fotografia o agli autori che la utilizzano?E questi, si interrogano sulle nostre colpe passate?( bisogna?).
Il percorso che i fotografi hanno fatto nel tempo è stato sufficente per concludere nell' assioma che la fotografia non da risposte e neanche certezze.
Ma quali sono le nostre sicure certezze?
La complicità con il dubbio, con la sospensione, è un criterio per aderire a quale pretesa?L' ambiguità è una falla del linguaggio, una mancanza, ed è la condizione normale in cui ci tocca vivere, apparendo come costante minacciosa.
Il solo uso che l' uomo conosce per trascendere dall' ambiguità è di opporre il proprio senso percettivo, estetico, che sembra convincente quando questo si avvicina ad una certa forma, ad una vicinanza con l' intenzione di chi, a qualcosa, si vuole avvicinare.
Ma anche quì non ci sono risposte.
Non c' è bisogno di: Ci servono ancora immagini cruenti di lotte di piazza, morti, case distrutte per avere un idea politica di quello che è la realtà vissuta in quel paese?
Mi domando se c' è bisogno di un ripensamento della forma dell' immagine, del suo clichè.
L' impressione di essere davanti ad un evento tragico non lo percepisco nelle immagini di Zanta perchè il rumore della risposta estetica di queste immagini è troppo acuto e il modello utilizzato troppo uguale alla definizione di "GENERI".
Non conoscendo comunque le ragioni di tale lavoro, posso solo appellarmi a quanto percepisco nel vedere le immagini; l' introduzione che Fabio comunque faceva mi ha portato a ragionare sui pensieri precedentemente descritti.

laura said...

il dubbio come costante minaccia? Ben venga. Non coltivano il dubbio i fanatici, i dogmatici e i dittatori, e oggi più che mai non abbiamo bisogno nè degli uni nè degli altri.
Il dubbio non va confuso con l'inazione o l'agnosticismo: il dubbio è foriero di ragionamento, rispetto per ciò che è altro da noi, apertura mentale, disponibilità a rimettersi quotidianamente in discussione.
Non vedo estetismi fine a sè stessi nel linguaggio fotografico di Marco Zanta: vedo(nel progetto completo consultabile nel suo sito) gli ossimori dell'esistenza -bellezza nella distruzione, vita nella morte - che noi non sappiamo (per superficialità)o non vogliamo (per convinzione ideologica)più vedere. E vedo nel lavoro di Zanta uno sguardo compassionevole (nel senso etimologico di patire insieme) che restituisce dignità e orgoglio ai luoghi, alle persone, e alla loro storia. Molto più - aggiungo - di certa fotografia di denuncia, pornograficamente indugiante sui dolori del mondo

Anonymous said...

Buongiorno a tutti. mah sorvoliamo sul fatto poco etico e ortodosso di chiamare questo blog H.B. e sorvoliamo sul fatto di scrivere in merito alle immagini di Zanta che "restituisce dignità e orgoglio ai luoghi, alle persone, e alla loro storia" è una frase usata e abusata per troppi lavori fotografici, perdonami Laura ma come fa' un luogo ad avere un orgoglio? Spesso si dimentica che la fotografia è un linguaggio. La caption è solo un supporto all'immagine. Qui se non ci fosse scritto Tripoli queste immagini potrebbero mostrare una qualsiasi città dei balcani o anche una città del sud Italia o Turchia. Non mi dilungo perchè sarebbe dare un pò troppa importanza a queste immagini. Complimenti comunque per questa iniziativa, bisogna stimolare le discussioni che, anche se sterili, mettono in moto il cervello. Cari Saluti Filippo

Fabio Severo said...

Ho scelto di non commentare anche io perché preferisco lasciare spazio alle impressioni dei lettori, ma non posso resistere alla tentazione di chiedere a Filippo perché il nome del blog sarebbe "poco etico e ortodosso". Magari mi scrivi una mail direttamente così lasciamo lo spazio dei commenti alle immagini di Zanta?

Fabio Severo
- Hippolyte Bayard

Anonymous said...

spero di non essere frainteso. Non intendevo che i pareri dei bloggers fossero sterili, intendevo il soggetto di questa discussione, le fotografie in oggetto. Quanto a quello che mi hai chiesto, Fabio, spero di non essere troppo fuori luogo e togliere spazio ai numerosi partecipanti, ma utilizzare un illustre nome per dare lustro a qualcos'altro è un operazione, come dire ... tipicamente Italiana

Anonymous said...

spero di non essere frainteso. Non intendevo che i pareri dei bloggers fossero sterili, intendevo il soggetto di questa discussione, le fotografie in oggetto. Quanto a quello che mi hai chiesto, Fabio, spero di non essere troppo fuori luogo e togliere spazio ai numerosi partecipanti, ma utilizzare un illustre nome per dare lustro a qualcos'altro è un operazione, come dire ... tipicamente Italiana. Filippo

Fabio Severo said...

Ovviamente non ritengo le fotografie di cui parliamo sterili in nessun modo, anzi. Al di là di questo, trovo buffo arrivare a definire "tipicamente italiana" la scelta del nome del blog, che voleva essere un semplice omaggio, ovviamente.
Vederci la ricerca di una gloria riflessa è davvero singolare, anche perché non capisco qual'è il lustro che ne trarrei. Ma appunto non volevo occupare questo spazio per discutere di questa faccenda. Se Filippo mi vorrà spiegare meglio il suo pensiero, l'e-mail a cui scrivere è in alto a destra sulla homepage.

Fabio Severo
-Hippolyte Bayard

Anonymous said...

caro Fabio mi incuriosisce che cosa ci trovi di non sterile nelle immagini di Zanta, non sterile quindi che porta frutto, in questo caso significato, uno qualsiasi tralasciando lo stereotipo estetico di Guidi reiterato all'infinito da infiniti imitatori. Assolutamente d'accordo nel riconoscere il valore di Guidi. Ma perchè bisogna riconoscere il valore di tutti i suoi imitatori? Possibile che quelli che dicono di essere i grandi fotografi Italiani non sanno comunicare? Lo stile tralasciamolo pure intanto mi piacerebbe vedere immagini che mi comunicano qualche cosa. Ci sono bravissimi fotoamatori che fanno dei lavori splendidi ai quali nessuno da credito, dai spazo a quelli, piuttosto che ai soliti nomi balzati all'onore della cronaca per i soliti principi italiani. Confermo I miei complimenti per questa iniziativa, cari saluti Filippo

federico said...

In che modo l'opera di Guidi entra in relazione con le foto di Zanta?
Si potrebbero citare decine di fotografi in cui la modalità di ripresa è la medesima o con minime variazioni sul tema. Ma non è proprio del linguaggio documentario questo fattore?
Forse non è importante come si fotografa, ma il soggetto stesso della ripresa.
Come è possibile credere che il linguaggio si debba continuamente aggiornare. La fotografia documentaria non ha bisogno di tutto questo. È in ciò che guardiamo la chiave di lettura che ci permette di mettere del proprio.
Ma anche le altre modalità di usare la fotografia sono così alla ricerca di novità? Mi sembra che la manipolazione sia l'unica innovazione, ma il manipolare non è parte della fotografia arriva da altro...
Poi siamo così certi di essere davanti ad un banale imitatore?
L'opera di un fotografo si giudica in questo modo superficiale e sbrigativo, potremmo pretendere di avere un argomentazione più profonda.
Ammesso e non concesso che ciò sia vero, non è primo Guidi a insegnarci che bisogna “copiare” nella stessa declinazione che anche Picasso ha portato avanti per tutta la sua vita?
E proprio perchè il copiare costringe a mettersi nei panni di un altra persona, che inevitabilmente mettiamo dentro anche del nostro....

Ma la cosa che lascia perplessi è questa volontà di avere una fotografia che comunichi, che sia immediata, facile e se vogliamo andare oltre: seduttiva, ammiccante, compiacente....
La fotografia di comunicazione è ben distante dalla fotografia d'arte.

E poi facciamoli questi nomi di fantastici amatori che ci dovrebbero rilevare il mondo.
Nomi e cognomi.
Attendiamo...

massimo said...

Il titolo del lavoro per immagini è, seguendo il consiglio di Laura, La città, se guardo il sito di Zanta e non Tripoli. Che è Tripoli lo apprendo dal blog H.B.; probabilmente il blogger lo sa perchè conosce l' autore ma l' autore stesso ha preferito rimanere generico, almeno sul suo sito. Non sembra tanto strampalata l' idea che potrebbe essere una qualsiasi città del sud e che il "dubbio" rimane l' unico modo per accedere a certe immagini.

ornisco quì sotto un link di una discussione partita da un articolo di giornale. Peccato poi che è sfociata nella solita diaspora dai toni "tipicamente italiani". In questo paese dire il proprio pensiero sembra voler dire essere di una qualche opposizione..da azzittire!
.. e forse, per qualche verso, anche quì abbiamo sfiorato il medesimo atteggiamento

http://www.puntodisvista.net/2011/01/fotografia-di-massa-vs-fotografia-d’autore-querelle-senza-senso/

Fabio Severo said...

Per rispondere alla richiesta di Filippo di spiegare cosa trovo di "non sterile" nelle immagini di Zanta: innanzitutto un punto importante è quello da alcuni evidenziato sul fatto che io ho scritto che la città era Tripoli mentre l'autore l'ha omesso. In giorni di gravi accadimenti internazionali non ho resistito alla tentazione di fare una forzatura e 'svelare' il luogo delle immagini di Zanta, elemento che non è necessario al guardare quelle immagini così come le ha pensate l'autore ma che ho ritenuto importante per suggerire una riflessione: le fotografie che si prendono in carico di raccontarci i fatti del nostro mondo sono spesso immagini molto univoche dal punto di vista narrativo, sia per il loro contenuto visivo che per le didascalie che le accompagnano. In un momento in cui degli eventi così gravi come quelli in corso in Libia ci arrivano con poche e confuse immagini, mi è sembrato interessante proporre delle fotografie di quei luoghi, ma prive degli eventi che stanno accadendo. Questo perché mi ha colpito il presentarsi di due estremi opposti: da una parte eventi gravissimi dei quali quasi non abbiamo immagini, dall'altra il teatro di questi eventi mostrato in un altro momento, privo del sangue e della violenza attuale, così come ce lo mostra il lavoro di Zanta.
L'informazione attraverso le immagini si riduce spesso a una mera suggestione, la proiezione che noi facciamo sulle fotografie di quelli che in fondo sono nostri stati d'animo, mentre siamo accompagnati per mano dalle didascalie che spiegano quelle foto.
Ma io preferisco immaginare liberamente su delle fotografie, ricostruire una narrazione senza coordinate obbligate, e trovo che i paesaggi urbani (e i volti) delle immagini di Zanta mi permettano di far decantare tutte le sensazioni che vengono dal leggere quello che sta accadendo in modo più libero, più personale di altre fotografie più semplicemente descrittive, che si prefiggono l'impossibile compito di mostrare quello che starebbe accadendo.

Michele said...

Mi lascia piuttosto perplesso il fatto che la "sterilità" sia diventata una categoria estetica con la quale giudicare una forma d'arte. Cosa vuol dire? Nella fattispecie tanto sterili le foto di Zanta non mi sembrano, a giudicare dal dibattito che hanno innescato. E poi, liquidare le foto di Zanta come riconducibili "allo stereotipo estetico di Guidi" significa ignorare che Guidi non ha creato nessuno stereotipo estetico e che il lavoro di Guidi, così come quello di Zanta e di moltissimi altri autori si inscrive all'interno di una tradizione, quella documentaria, che è l'asse portante della storia della fotografia. Solo contestualizzare gli autori italiani nel panorama internazionale ci consentirà di scrollarci di dosso il provincialismo culturale che, ahinoi, affligge ancora parte della cultura fotografica italiana.
Quanto agli splendidi lavori fotoamatoriali, aspetto anch'io dei nomi: sarebbe bello giocare a carte scoperte.

Anonymous said...

"Mi lascia piuttosto perplesso il fatto che la "sterilità" sia diventata una categoria estetica con la quale giudicare una forma d'arte." (testo di Michele)

Sicuramente Michele apprezzerà i testi e le immagini di un maestro che fa parte della fotografia documentaria...Robert Adams
e proprio questo maestro utilizza il termine "sterile" per esprimere il suo dissenso riguardo a determinati modi di lavorare nelle discipline artistiche.

ROBERT ADAMS, LA BELLEZZA IN FOTOGRAFIA

Ci si preoccupa di non essere provinciali nel modo non suggerito da Michele e non ci si rende conto che è l' atteggiamento stesso ad essere provinciale e supponente.
Anche questo atteggiamento contraddittorio bisogna scrollarsi di dosso se vogliamo liberarci dal provincialismo!

IL FOTOAMATORE:

John Szarkowski, nelle sue ricerche, aveva notato che si poteva ricondurre la nascita di una parte della fotografia ai fotoamatori. I padri (alcuni) dello stile documentario si possono considerare dei fotoamatori, perchè non esercitavano la fotografia come fonte di guadagno ma semplicemente come interesse legato alle possibilità del linguaggio fotografico. Inizialmente non c' era nemmeno la vocazione artistica, (che tanto oggi viene difesa) a spingere le semplici forze che portavano a creare l' ossatura del linguaggio fotografico. Forse ci sono degli aspetti da discutere in questa tesi, ma una cosa: riflettiamo sul senso distorto che diamo a certe definizioni.
Senza aggiungere molto, il testo della Rosalind Kraus (Teoria e storia della fotografia) suggerisce altri spunti interessanti su questa questione.

Anonymous said...

* correzione :
Forse ci sono degli aspetti da discutere in questa tesi, ma una cosa è certa: riflettiamo sul senso distorto che diamo a certe definizioni.