Tuesday, April 3, 2012

On documentary photography

Walker Evans, Coca-Cola shack in Alabama, 1935

La scorsa settimana il Teatro Coppola di Catania ha invitato me e Alessandro Imbriaco a tenere un workshop di fotografia durante il quale, tra le altre cose, ho parlato di fotografia documentaria e delle diverse declinazioni del linguaggio fotografico che oggi coesistono sotto questo termine.

Per l'occasione ho chiesto a diversi fotografi di dare una loro propria definizione di fotografia documentaria: riporto anche qui le loro riflessioni, ringraziandoli per aver trovato il tempo di rispondermi nell'arco di pochi giorni.

- Andrea Botto

Andrea Botto, KA-BOOM, 2009-ongoing

Personalmente ho sempre pensato poco alla fotografia come "documento", se non riferita alla tradizione "documentaria" post Walker Evans, ben sapendo quanto questi termini siano stati poi travisati ed abusati nel corso dei decenni.

Credo nell'immagine come messa in scena del reale, da cui non mi aspetto mai delle risposte.
Penso che le proprietà narrative o probatorie della fotografia siano davvero molto secondarie rispetto al resto, una sorta di effetti collaterali.

Uso la fotografia per ciò che è, per la sua natura sfuggente, che nasce per me talmente dal reale, da poterlo anche sovvertire e mettere in dubbio.

Ecco forse perché amo allo stesso modo Joel Sternfeld e Joan Fontcuberta.

---

- Federico Covre

Federico Covre, Dovresti esserci. La vita qui è come l'abbiamo sempre sognata, 2009

Per la definizione riprendo una recensione che Lewis Baltz fece al lavoro di Robert Adams The New West pubblicata su Art in America nel 1975:

"C'è qualcosa di paradossale nel modo in cui le fotografie documentarie interagiscono con la nostra nozione di realtà. Per funzionare davvero come documenti devono prima persuaderci che descrivano i loro soggetti in modo fedele e obbiettivo; infatti il loro compito iniziale è di convincere il pubblico che sono veramente dei documenti, che il fotografo ha usato pienamente i suoi poteri d'osservazione e descrizione, e lasciato da parte chimere e pregiudizi. Il documento fotografico ideale parrebe essere senza autore o arte. Pure, naturalmente. le fotografie, malgrado la loro verosimiglianza, sono astrazioni; la loro informazione è selettiva e incompleta. La forza della fotografia documentaria è collegata alla sua capacità di informare come pure di riflettere la nostra percezione del mondo esterno."

---

- Giorgio Barrera

Giorgio Barrera, Through the Window, 2008

C'è una frase di Walker Evans ("Documentaria è la fotografia della polizia scattata sul posto di un delitto. Quello è un documento. Vedi bene che l’arte è senza utilità, mentre un documento ha un’utilità. Per questo l’arte non è mai un documento, ma può adottarne lo stile. È quello che faccio io") che sicuramente meglio di quanto potrei fare io descrive quello che anche io intendo per fotografia documentaria.

Però potrei aggiungere una cosa. Rispetto ai tempi in cui nasce la straight photography adesso l'approccio al "documento" è molto diverso. Anni di TV, videogioochi e pubblicità non si possono non prendere in considerazione.

Se quello della nascita della straight photograhy è il tempo di Heisenberg e del suo principio di di indeterminazione, "è necessario che noi non modifichiamo con la nostra osservazione il fenomeno che vogliamo studiare", l'attuale è pieno invece di ostentazione e condivisione. La messa in scena, la cura o l'esibizione di una visione sono gli ingredienti della fotografia documentaria contemporanea che in un un certo modo tende più a mettere in mostra l'immagine dell'oggetto fotografato che non semplicemente a mostrarlo.

---

- Domingo Milella


Domingo Milella, Blue Eye, Albania, 2007

Io credo che esista uno stile del documento in fotografia, ma che il documentario sia un genere invece...

A me non interessa il documentario alla fine dei conti, ma forse mi affascina o interessa lo stile del documento nelle fotografie.
(E' inutile che ti citi ancora Walker Evans e la sua idea chiara del documento utile e dell'arte inutile e di come in fotografia esista una via di mezzo tra le due ragioni, le due nature, le due ambizioni del mezzo stesso)
Io credo che la fotografia è sincera a se stessa quando è rispettosa e autentica nella sua natura e origine tecnica e documentativa...
Nel senso che l'immagine fotografica e' figlia del pensiero industriale e tecnico, risultato di una gestazione, di una filosofia estetica che affonda le radici nello scientifico, nell'empirico, nell'osservazione legata all'esperimento, alla sintesi, all'isolamento.

L'iconografia e il lessico di cio' che sembra documento in fotografia è un fatto estetico e linguistico inerente a quello che potremmo chiamare il bagaglio genetico della fotografia stessa, della sua nascita, della sua storia a dispetto degli infiniti disturbi di genere di cui la fotografia ha sofferto in tutta la sua storia di stili e contaminazioni.
L'estetica del documento, è anche l'estetica della foto senza autore, dell'apparente mancanza di stile, della funzionalità meccanica della fotografia. E' per l'appunto l'anima scientifica e meccanica del mezzo fatta in estetica. O anche il contrario forse.

L'illusoria mancanza di autore per lasciar spazio all'estetica del soggetto attraverso la foto è la quintessenza del bel documento.
O forse non è una questione di "documentarietà" ma una netta differenza tra fotografie che si lasciano guardare e che aiutano l'osservatore a imparare a ossevare, e fotografie che invece impongono il loro modo di esser guardate.
Penso alla fotografia dell' '800, quando ancora soggetto e metafora erano unite nello stesso luogo, nello stesso documento.

Credo che le immagini delle enciclopedie, le cartoline, le foto di Blossfeldt e dei Bechers, i modelli delle foto di Atlas di Richter, le foto dell'arte concettuale, le foto di Richard Long, o se pensi alle strade di Struth o ai ritratti di Ruff, c'e' tanta arte, anzi e' proprio quella che viene considerata la base della fotografia nell'arte a venire del sentiero estetico ed iconografico del documento.

Io ho sempre amato e fotografato secondo questo criterio, di semplicità, sincerità, e autenticità.

---

- Marco Zanta

Marco Zanta, La Città, 2010

La percezione richiede partecipazione. Forse é una dichiarazione criptica ma per me ben
aderisce all'idea che sta alla base di tutti i miei progetti che si fondano su un approccio di tipo documentario.

Se da una parte c'é sempre l'esigenza di restituire un'identità precisa dei luoghi, attraverso la creazione di documenti, contemporaneamente tento di impossessarmi di ciò che che con gli occhi vedo, inserendo la possibilità che anche il lettore possa fare lo stesso. Trovo che proprio lo stile documentario riesca a fornire in modo "gentile" una chiave di lettura che mantenga appunto l'identità ma offra anche un valore aggiunto attraverso la partecipazione nell'interpretare.

Soprattutto trovo che lo stile documentario mantenga più di altri generi o approcci
quella ambiguità che é tipica del linguaggio della Fotografia, attraverso un continuo dichiarare, svelare e nello stesso istante essere reticente, lasciando che intervengano elementi altri, portati dalla cultura, dalla sensibilità, dalla partecipazione di chi leggerà quelle immagini.

---

- Rocco Rorandelli

Rocco Rorandelli, Behind the Smokescreen, 2011

La fotografia documentaria? A me piace pensarla come un lungo percorso per avvicinarsi a una forma più completa di realtà, intesa in senso soggettivo, di percezione.

---

- Marco Lachi

Marco Lachi, "How Does it feel..?", 2010

Una citazione letta non so dove e detta da non so chi, dice che:

"La differenza sostanziale tra reportage e doumentazione fotografica è che per la prima ti pagano 200$ al giorno per farla, mentre per fare la seconda spendi 200$ al giorno".

Forse è un po fuorviante e un po tagliata con l'accetta, ma chiarisce immediatamente un punto, che è il tempo di esecuzione. Avere tempo per pensare, vedere e conoscere e di conseguenza tempo per analizzare, il tempo puo essere una base per descrivere il processo di creazione documentaria. Non a caso, per citare i soliti noti, Guido Guidi che non è un documentarista in senso stretto ma qualcosa in piu, lavora, tra l'altro sul concetto di tempo in fotografia, sul passare del tempo e registra un attesa.
C'è anche un tempo tecnico che è quello dettato dal mezzo. Dove se il mezzo è lento non necessariamente produce un bel documento ma aiuta perlomeno a riflettere, anche se non ad analizzare ma a comporre. La composizione è un altra caratteristica del documento, la forma, se poi è bella come dice Robert Adams, tanto meglio.
Ovviamente, il tempo è solo un aspetto, forse quello a cui presto piu attenzione al momento, creare un documento dovrebbe forse avere il fine di mappare e creare un archivio, una catalogazione oggettiva.

Sarei curioso di sapere cosa scrivono gli altri, mi è capitato di recente di doverlo spiegare ad un gruppo di fotografi e non sempre è facile. Credo senza la paura di essere smentito che il fotografo documentarista tende a porsi dei limiti, limiti di ricerca e di struttura, di un'immagine e di un progetto. Perchè il limite non ha di default un'accezione negativa ma anzi aiuta a muoversi dentro una griglia.

---

- Andrew Phelps

Andrew Phelps, Not Niigata, 2009

I think that documentary photography has become a "style" and no longer a genre like landscape, nude, portrait etc. Contrary to its definition, I think documentary photography can not be confused with truthful representation.

The "documentary" style came about in the age of journalism; people being sent someplace to bring back a story or information about a distant place or peoples.
Just because it was showing the world as it was (at least before digital manipulation) didn't mean that the photographer was showing the world as it really was, instead photographers, like now, made decisions about what to photograph and what not to photograph. Sequencing images and editing all played a part in the way photographs were "read".

So for me the "documentary style", and its language, is interesting because everyone THINKS that everyone understands this language. This of course can lead to very complex layering of truth and fiction.

1 comment:

matteo fieni said...

Interventi curati e apprezzati.