Tuesday, March 6, 2012

Non fotografare gli straccioni, i senza lavoro, gli affamati.


Per dire certe cose e farsi ascoltare forse occorre una lunga barba e tanti anni alle spalle, per poi beffare chi con molti di meno sente già troppo peso sulle proprie:

"Chiunque riceve qualsiasi informazione, ma specialmente quando fosse fotografica, dovrebbe chiedersi perché e in quale modo essa è utile a chi la trasmette, e chiedersi ancora se e in che modo essa può nuocere a chi la riceve. La risposta a queste due domande è l'unica comunicazione che interessa ricevere." (Confessioni di un fotografo pentito, 2003)

Oppure, come lui stesso ha scritto lo scorso giugno per il proprio novantesimo compleanno:

"Non fotografare gli straccioni, i senza lavoro, gli affamati.
Non fotografare le prostitute, i mendicanti sui gradini delle chiese, i pensionati sulle panchine solitarie che aspettano la morte come un treno nella notte.
… Non fotografare i neri umiliati, i giovani vittime delle droga, gli alcolizzati che dormono i loro orribili sogni. La società gli ha già preso tutto, non prendergli anche la fotografia.
Non fotografare chi ha le manette ai polsi, quelli messi con le spalle al muro, quelli con le braccia alzate, perchè non possono respingerti.
Non fotografare la suicida, l’omicida e la sua vittima.
Non fotografare l’imputato dietro le sbarre, chi entra o esce di prigione, il condannato che va verso il patibolo.
Non fotografare il carceriere, il giudice e nessuno che indossi una toga o una divisa. Hanno già soppportato la violenza non aggiungere la tua. Loro debbono usare violenza, tu puoi farne a meno.
Non fotografare il malato di mente, il paralitico, i gobbi e gli storpi.
Lascia in pace chi arranca con le stampelle e chi si ostina a salutare militarmente con l’eroico moncherino.
Non ritrarre un uomo solo perchè la sua testa è troppo grossa, o troppo piccola, o in qualche modo deforme.
Non perseguitare con i flash la ragazza sfigurata dall’incidente, la vecchia mascherata dalle rughe, l’attrice imbruttita dal tempo. Per loro gli specchi sono un incubo, non aggiungere le tue fotografie.
Non fotografare la madre dell’assassino e nemmeno quella della vittima. Non fotografare i figli di chi ha ucciso l’amante, e nemmeno gli orfani dell’amante. Non fotografare chi subì ingiuria: la ragazza violentata, il bambino percosso.
Le peggiori infamie fotografiche si commettono in nome del diritto all’informazione. Se è davvero l’umana solidarietà quella che ti conduce a visitare l’ospizio dei vecchi, il manicomio, il carcere, provalo lasciando a casa la macchina fotografica.
Non fotografare chi fotografa; può darsi che soddisfi solo un bisogno naturale.
Come giudicheremmo un pittore in costume bohémien seduto con pennelli, tavolozza e cavalletto a fare un bel quadro davanti alla gabbia del condannato all’ergastolo, all’impiccato che dondola, alla puttana che trema di freddo, ad un corpo lacerato che affiora dalle rovine?? Perchè presumi che il costume da free-lance, una borsa di accessori, tre macchine appese al collo e un flash sparato possano giustificarti?"

Questo testo assieme a molti altri pensieri orna il piccolo muro dei ricordi da ieri, quando l'uomo dalla lunga barba se n'è andato.

Ando Gilardi, 1921 - 2012

P.S. Sul sito della sua Fototeca risulta ancora vivo, e forse è giusto così.

3 comments:

Giorgio Cecca said...

Grazie, non lo conoscevo. (!)
Giorgio Cecca

Francesco Gallarotti said...

Interessante, specialmente considerando che lui, Ando Gilardi, per tutta la vita non ha fatto altro che fotografare proprio quello che ora dice di non fotografare...

Anonymous said...

Non per niente si chiama "confessioni di un fotografo pentito", Sherlock.