Thursday, February 14, 2013

Gabriele Basilico, 1944-2013

"Posso cercare di descrivere come, in modo forse un po’ compulsivo, mi avvicino alla realizzazione di un lavoro: è una sorta di costante, come un evento ricorrente, una condizione, quasi anche un rito, nel quale è in gran parte raccolta la mia esperienza dell’arrivare a scattare. Mi capita spesso infatti, dopo interminabili ore di autostrada, che un cartello stradale annunci che finalmente sto arrivando alla meta. Il traffico nell’ora di punta della sera aumenta il mio stato d’ansia, e non mi è mai piaciuto arrivare in una città sconosciuta con il buio. Ho bisogno di un po’ di tempo, quantomeno per poter scegliere un albergo dall’aspetto simpatico (che deve diventare per un po’ di giorni la mia casa), né troppo lussuoso né troppo economico, ma soprattutto collocato in un punto strategico e “amico della città”. Tutto questo, si intende, visto dalla strada. Arriva poi la fase più delicata, più psicologicamente faticosa, quella del sopralluogo per le riprese: da dove cominciare, cosa vedere, cosa scegliere, come limitare le aree e i soggetti da fotografare, con quale metodo e con quale arbitrio stabilirne i confini? La zona industriale sarà interessante? Anche se il centro storico e i monumenti in questo primo stadio della ricerca mi interessano meno, non posso escluderli dal sopralluogo. Altrimenti come capire questa nuova città? Le città sono come un libro che bisogna leggete per intero, diversamente si rischia di non afferrarne il senso. La periferia, i margini e le zone di nuova espansione: nella mia vita sono andato a finire sempre un po’ più in là. In effetti, sono le zone che mi interessano di più. E se è vero, come ribadisco incessantemente, che la città è come un grande corpo dilatato, incommensurabile, per capirci qualcosa bisogna avere pazienza, tenere a bada quel sentimento di conquista, quella vertiginosa sensazione di possesso che un’immagine troppo rapida e furtiva può restituire."

(Gabriele Basilico, Architetture, Città, Visioni. Riflessioni sulla Fotografia. Ed. Bruno Mondadori, 2007)

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Tuesday, February 12, 2013

Adolescence



(Foreword from the book Adolescence, curated by Landscape Stories. 17x24cm, hardcover, 112 pages, 48 images by 28 photographers. Texts by Fabio Severo, Camilla Boemio, Landscape Stories)

The unripe age 

Over time, the representation of adolescence in literature, cinema and visual arts is often accompanied by ideas of identity, boundaries, fragility or desire. Elusive, the shadow line of the transition to adulthood expresses the perpetual conflict between an emotional world we think we know (for the simple fact of having experienced it ourselves), and the search for a synthesis between those opposites from which the vitality of pure youth is generated. 

The relationship between photography and adolescence is complex: young, compared to the history of art preceding it, the photographic image struggled to define its own identity, reflecting on its proximity with painting and on the fragility many saw within it when compared to the noble art. And yet it became an object of desire, a harbinger of the new and a symbol of immediacy; it seemed to offer a proximity to reality which was as much cherished as it was mysterious. 

© Mark Steinmetz
The delicacy of adolescence is paralleled by the ambiguity of the photographic language; the subjectivity of the photographic gaze is exposed even in its attempts to present itself as neutral as possible. Portraying human beings who do not easily show themselves but embody a crucial phase in the life of each of us, photographers are confronted with the distorting mirror of adolescence. They must work with the echo of their own history, again awakened to the vitality - or the ailment - of their own inner self. 

Adolescents react immediately to the proximity of others. We admire them like wild animals, wanting to see them up close. Yet with every step we take forward, they retreat, disappearing into the woods. 

© Raimond Wouda
L'età acerba

Le rappresentazioni dell'adolescenza offerte nel tempo dalla letteratura, dal cinema e dalle arti visive si accompagnano a molte parole ricorrenti, come identità, confine, fragilità o desiderio. Eterno sfuggente, la linea d'ombra del passaggio all'età adulta rappresenta il conflitto tra un mondo emotivo che tutti crediamo di conoscere, per il semplice fatto di averlo vissuto, e la ricerca di una sintesi tra i contrasti e gli opposti che generano la forza vitale della pura giovinezza.

Il rapporto tra fotografia e adolescenza è forse il più complesso tra tutti: giovane rispetto alla storia dell'arte che la precede, l'immagine fotografica è nata sforzandosi da subito di definire la propria identità, riflettendo su quale confine avesse con la pittura e sulla fragilità che le veniva imputata rispetto all'arte nobile, ed è diventata subito un oggetto del desiderio, portatrice di freschezza e di un sogno di immediatezza, di un rapporto diretto con la realtà tanto vagheggiato quanto misterioso.

© Lydia Panas
Una materia delicata come l'adolescenza diventa così il luogo in cui l'ambiguità del linguaggio fotografico si manifesta nel modo più forte, rivelando la soggettività dello sguardo fotografico anche dove questo vuole essere il più neutrale possibile. Confrontandosi con esseri umani che non rappresentano solo se stessi ma incarnano una fase cruciale per la vita di ognuno di noi, qualsiasi fotografo davanti all'adolescenza si confronta anche con uno specchio deformante, con l'eco della propria storia, con la pienezza o la sofferenza della propria vitalità.

I corpi e gli sguardi degli adolescenti reagiscono immediatamente non appena ci si avvicina, come animali selvatici li ammiriamo da lontano e cerchiamo di toccarli, ma ad ogni nostro passo avanti retrocedono, scomparendo nella foresta.

© Andreas Weinand

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