Tuesday, August 31, 2010

A Dutch touch

Ex Territory

What I like about the work of Mieke Woestenburg is that it doesn't present itself as an accessible and immediately satisfying display of beauty, the images are more like riddles to solve, pieces to compose together, pages taken from some kind of studies. Slowly our eyes start to see new things, new stories, new possibilities.
Simplicity is not necessarily something self-evident, or immediate, simplicity can also be the gift we find inside an image only after we've given it enough time to disclose.

I discovered Woestenburg's photography while I was flipping through the pages of some issues of Fw: Magazine, one of the several publishing/curatorial/photographic/graphic design adventures of the Dutch creative photo-oriented platform Fw:.

Raw Material

Quello che mi piace del lavoro di Mieke Woestenburg è il fatto che non si presenta come un esempio di bellezza immediatamente accessibile, le immagini sembrano più enigmi da risolvere, piccoli pezzi da unire insieme, pagine prese da qualche remoto studio di cui non conosciamo l'oggetto. Poi lentamente cominciamo a vedere nuove cose, nuove storie, altre possibilità.
La semplicità non è per forza qualcosa di evidente o immediato, la semplicità può essere un dono che troviamo solo dopo aver dedicato abbastanza tempo ad attendere che ci si riveli.

Ho scoperto Woestenburg sfogliando alcuni numeri di Fw: Magazine, uno dei tanti progetti editoriali/curatoriali/fotografici della piattaforma olandese Fw:.

Ex Territory

All images © Mieke Woestenburg

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Thursday, August 26, 2010

SI Fest 2010

Roger Ballen, Boarding House

The 19th edition of the Savignano Immagini Festival will take place on September 10-12 in Savignano sul Rubicone, Italy. Roger Ballen's Boarding House, We English by Simon Roberts, a new chapter in the Global Photography group show are among the many exhibitions of the festival. Lectures, conferences, slideshows, portfolio reviews and much more will happen during the three days.

Daniele Federico, aka Becoming a Photo Editor, kindly handed me an interview he made with Massimo Sordi and Stefania Rössl, members of the festival's organising committee and curators of some of the most relevant exhibitions of this year's edition, which I present here with much pleasure (Italian only).

La 19esima edizione del Savignano Immagini Festival si svolgerà dal 10 al 12 settembre a Savignano sul Rubicone. Boarding House di Roger Ballen, We English di Simon Roberts, un nuovo capitolo della collettiva Global Photography sono tra le mostre presentate quest'anno. Incontri, conferenze, proiezioni e letture portfolio sono previsti lungo i tre giorni del festival.

Daniele Federico, alias Becoming a Photo Editor, mi ha fatto gentile dono dell'intervista che ha realizzato pochi giorni fa con Massimo Sordi e Stefania Rössl, membri del comitato organizzativo del SI Fest e curatori delle principali mostre di quest’anno.

Buona lettura.

Simon Roberts, We English

- Com’è nato il tema di quest’anno e che significato assume in questa edizione?

- Stefania Rössl: negli ultimi 3 anni il tema era stato quello dell’identità e della percezione, ovvero un focus rivolto al soggetto, ma anche rispetto all’ambiente che lo circonda. Partendo da questo assunto lanciato dall’ex direttore, Laura Serani, abbiamo pensato a una declinazione che continuasse quel percorso, ma allargandolo. Abbiamo intitolato inizialmente “Abitare il mondo”, che poi è diventato Abitare mondi per estendere la presenza di identità plurali che tipicamente ci contraddistinguono in quest’epoca. “Abitare mondi” riesce così a ospitare tutta una serie di mostre a partire dal tema del proprio corpo. Ad esempio Silvia Camporesi è una fotografa che esprime una sorta d’identità mutevole nel corso delle sue differenti rappresentazioni; poi c’è un autore come Italo Zannier che affronta una riflessione sulla identità italiana; ma anche le mostre principali tra quella di Roger Ballen che in Boarding House mescola la propria visione del corpo attraverso degli spazi che riflettono se stesso e la sua identità e contemporaneamente apre a delle riflessioni molto più profonde. Successivamente avremo Simon Roberts che in We English identifica il modo di vivere contemporaneo nei temi dello spazio libero nel tempo presente.

- Massimo Sordi: c’è poi il progetto che è giunto alla sua seconda edizione, Global Photography. Riguarda la fotografia giovane ed emergente, portando degli autori molto conosciuti nell’ambiente estero, ma poco in Italia. A volte sono autori giovanissimi e caratterizzati da un’alta qualità espressiva. Abbiamo deciso di fare questa mostra che in seguito andrà a Roma e poi in Russia, con un catalogo dedicato.
C’è una grossa volontà, da parte mia e di Stefania, di dedicare il progetto alla fotografia giovane. E siamo molto curiosi di scoprire che risposta ci sarà. Abbiamo selezionato centinaia e centinaia di fotografi da noi personalmente contattati, in base alla qualità e alla pertinenza dei lavori presentati. Il sottotitolo di Global Photography è True stories, ovvero storie vere. E io aggiungo un punto interrogativo in riferimento all’ambiguità e alla supposta veridicità propria del linguaggio fotografico.

- Per molti un festival ha anche il compito di avvicinare le persone che non appartengono a quel determinato mondo, in questo caso la fotografia. Secondo voi che ruolo ha un festival quando propone autori non immediatamente comprensibili o fruibili al pubblico di tipo generalista?

- Stefania Rössl: Savignano Immagini è nato come evento dedicato alla lettura dei lavori fotografici. Inizialmente si chiamava “Portfolio in Piazza”. Già c’era l’idea di avvicinare i fotoamatori e i giovani di fotografia agli esperti del settore e di seguire le persone che volevano avvicinarsi. Noi collaboriamo con il SI Fest da cinque anni e forse abbiamo preso quella che è poi diventata la sua naturale evoluzione avvenuta attraverso Mario Cresci e Denis Curti, che sono stati i direttori precedenti a Laura Serani. Noi abbiamo ragionato proprio su questo, per cercare di far evolvere questa tradizione di “Portfolio in Piazza” e quindi d’incontro con i professionisti. Come un festival può lasciare un’eco profonda nel pubblico vasto? In questo senso un’iniziativa come “Global Photography” riprende l’eredità di “Portfolio in Piazza” per estenderle anche all’estero. Prima dell’anno scorso i giovani fotografi già affermati all’estero non conoscevano il SI Fest, cosa che sta accadendo ora grazie a un passaparola attivata dal Global Photography dell’anno scorso.
Per me un festival deve prima di tutto porre degli interrogativi sulla fotografia contemporanea: ci sono diversi livelli di lettura delle immagini fotografiche e da una parte è interessante spiegare e raccontare la fotografia, dall’altra è interessante che ognuno di noi, rispetto alla propria storia e conoscenza, si faccia un’opinione personale. L’idea è di contaminare anche con video e di sovrapporre altri linguaggi distinti.

- Massimo Sordi: il ragionamento si collega al lavoro di Roger Ballen. Proprio la sua è una fotografia che esce dalla fotografia, ricca di contaminazioni provenienti da altri mondi. Guardando le sue immagini si può pensare all’arte a 360 gradi eppure restano delle fotografie. C’è da dire che l’apertura del festival a mondi ‘altri’ è avvenuta soprattutto con la direzione di Laura Serani, in qualche modo è diventato un festival d’élite. Nel senso che le scelte di quest’anno sono molto precise e spesso includono autori non conosciuti in Italia dove la cultura legata alla fotografia è piuttosto critica: l’anno scorso abbiamo fatto un paio di conferenze con ospiti italiani e internazionali in cui si concludeva che in Italia tutta la cultura è messa male e non viene assolutamente supportata. Anche se c’è da dire che con l’avvento delle piattaforme di comunicazione digitale, come i blog, si nota già un cambiamento. Sono curioso quest’anno di vedere che risposta avremo dal pubblico più giovane.

Mark Steinmetz, South

- Quest’anno non c’è il direttore artistico e quindi una figura di riferimento. Per voi questo fatto ha rappresentato una mancanza o una possibilità?

- Massimo Sordi: penso che come per tutte le cose, nelle democrazie questo doppio aspetto c’è sempre. Non è stato facile mettere d’accordo le diverse proposte di quest’anno. Principalmente siamo stati io e Stefania a portare avanti il corpus degli autori in mostra. La nostra idea iniziale era comunque di avere un comitato forte, ma sempre affidando la regia a una figura esterna che cambi di volta in volta. Per Arles succede così. L’anno scorso Nan Goldin guidava molte scelte delle scelte e c’è stata un’ottima qualità. Di volta in volta affidarsi a uno sguardo esterno propositivo può rappresentare un arricchimento.

- Stefania Rössl: è vero, il modello di Arles è molto buono. Ogni anno vengono chiamati dei commissari e per ciascuno si riesce a individuare il tipo di taglio dato alle mostre. Quest’anno non c’è stato il tempo di avviare una simile macchina senza rischiare di fare errori concettuali, magari l’anno prossimo. A noi interessa un confronto e non il direttore in sé. E poi per noi è importante rivolgerci a un piccolo centro come Savignano che comunque ha acquisito una tradizione e un valore importanti.

Andrew Phelps, The Edge of the Spiral

- Parlatemi del progetto Sin_tesis.

- Stefania Rössl: Il progetto nasce da una convenzione tra “Istituzione Cultura Savignano” e la facoltà di Architettura di Cesena e in particolare il dipartimento di Architettura e Pianificazione Territoriale di Bologna, l’università a cui apparteniamo. Qualche anno fa Stefano Bellavista, ex assessore alla cultura ci aveva chiamato per ragionare su come la fotografia potesse aiutare la lettura del territorio di Savignano e cinque anni fa abbiamo elaborato Parco del Rubicone. Ipotesi di paesaggio per capire come la fotografia se diventa documentazione possa aiutare i tecnici dell’ufficio di Piano, che al tempo lavoravano a una riqualificazione del parco e del fiume Rubicone. Dopo 3 anni in cui abbiamo visto lavorare fotografi, studenti e critici, siamo passati a sin_tesis. L’insieme territoriale d’imprese e di industrie che vivono in questi territori. Alla fine di questi 4 anni cercheremo, appunto, di sintetizzare questo lungo lavoro pluriennale. Quest’anno l’ultima campagna fotografica è stata seguita da Andrew Phelps, fotografo di origine americana che ora vive in Austria e che ha seguito il workshop di giugno. In questa edizione vedremo il prodotto della campagna sin_tesis lab 02. Marco Zanta, specializzato nei paesaggi industriali, è stato il primo fotografo ad avviare il progetto sin_tesis. Poi c’è stata la campagna senza Workshop di Martin Parr che si è occupato più delle industrie di moda e calzaturiere. Abbiamo già previsto una campagna a settembre per Mark Steinmetz.
Organizziamo due o tre campagne fotografiche all’anno, una delle quali comprende anche un workshop. L’idea è indagare l’industria e come cambia il paesaggio e quindi il sociale.

- Fin’ora cosa ti ha sorpreso di più del progetto sin_tesis?

- Massimo Sordi: Già l’anno scorso il workshop, pubblicizzato in campo internazionale, ha portato degli autori che seppure giovani sono molto, molto bravi. Ed è il caso della mostra che vedremo in questa edizione. Non dimentichiamo che rispetto ai molti autori affermati, ma che negli anni continuano a ripetere gli stessi concetti, la fotografia che portiamo a Savignano propone fotografi che si mettono spesso in discussione e che sperimentano nuovi linguaggi. L’esperienza ci ha poi portato ad altre situazioni: quest’anno organizziamo una conferenza sulle campagne fotografiche rivolte al territorio. “Intersezione di paesaggi contemporanei”. Parleremo anche di un particolare blog che si occupa di fotografia di paesaggio, siamo molto ricettivi verso quello che troviamo sui media digitali.

- Stefania Rössl: è anche un modo per restituire a Savignano quello che Savignano produce nel momento in cui ospita un festival di fotografia come il SI Fest. È importante anche sensibilizzare i fotografi a indagare gli elementi importanti che sono ogni giorno sotto in nostri occhi, per capire l’evoluzione della nostra vita.

Joakim Eskildsen, The Roma Journeys

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Wednesday, August 25, 2010

Old lands

Debby Huysmans is among the several photographers who chose to explore the scattered geography of remote areas of the collapsed Soviet Union, places where the weight of the past often still informs life more than the present time can.
She devoted many photographic series to the subject, and the different bodies of work paint a history that is at the same time that of those regions and of her own photography changing through the stories she wants to tell.


Debby Huysmans fa parte della schiera di fotografi che hanno scelto di esplorare la geografia dispersa di aree remote dell'ex Unione Sovietica, luoghi dove il peso del passato ancora determina le esistenze delle persone più di ogni altra cosa.
Diversi sono i lavori fotografici che Huysmans ha dedicato a questo tema, e le varie serie compongono una storia che è al tempo stesso quella dei luoghi attraversati ma anche del suo stesso fotografare, che cambia lungo le storie che vuole raccontare.


All images taken from SIBIR, 2009 © Debby Huysmans

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Tuesday, August 24, 2010

Spoken word

The Italian baritone Giuseppe De Luca, New York circa 1920s, 5x7 glass negative, Bain News Service.

A few months ago photographers Enrico Bossan and Marco Pavan launched a new online project, e-photoreview, a "community and blog for upcoming talents in the field of photography and multimedia all around the world".

The website already showcases several video-interviews with photographers and this week it feautures an interview I made with Alessandro Imbriaco (Italian only this time, sorry), which is my first collaboration with them and will be followed by more in the future.

Stay tuned for weekly updates on their website, the interview archive is growing bigger and bigger.

Da qualche mese i fotografi Enrico Bossan e Marco Pavan hanno lanciato un nuovo progetto on-line, e-photoreview, "una community e un blog per talenti emergenti da tutto il mondo nel campo della fotografia e nel multimediale".

Il sito già offre diverse video-interviste con fotografi, e questa settimana viene presentata un'intervista che ho realizzato con Alessandro Imbriaco, la mia prima collaborazione con il sito, che sarà seguita da conversazioni con altri autori nei prossimi mesi.

Gli aggiornamenti su e-photoreview sono settimanali o anche più frequenti, con un archivio già nutrito da poter esplorare.

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Monday, August 23, 2010

Vernacular

Presqu'Ile

The inhabited space seems to be the core of Alex Crétey-Systermans's work, with unexpected beautiful portraiture to fill the gaps between one man-altered landscape and the other, and close-ups of objects and other amenities to complete the trio of ingredients we got so used to describe as 'documentary photography' these days.
But has it always been like that or is it something that belongs to our present time? And, most of all, will it become something else someday?

(found via arts and design blog there was rain)

Familiar

Il paesaggio abitato sembra essere il fulcro del lavoro di Alex Crétey-Systermans, con affascinanti ritratti a far da contrappunto tra un luogo e l'altro e dettagli di oggetti e altre amenità a completare la triade che siamo ormai abituati a descrivere come 'fotografia documentaria'.
Ma è sempre stato così oppure si tratta di qualcosa che appartiene al nostro tempo? E soprattutto, si trasformerà in qualcos'altro un giorno?

(trovato sul blog di arte e design there was rain)

Slowdown

All images © Alex Crétey-Systermans

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Friday, August 20, 2010

Unseen

Michelle Kloehn is a tintype and ambrotype artist, old photographic techniques that she uses to create elusive visions suspended between abstraction and the images of the photograms, with faint traces of familiar objects appearing here and there.
Often alternative techniques today are used to show familiar things through the magical looking glass of their old scratched surfaces, varnish of a distant time that does not really belong to the images. Her plates simply collect unrecognizable fragments of places and moments we cannot remember, neither past nor future.

(found via Heidi Romano's Tales of Light)


Michelle Kloehn è un'artista che utilizza la ferrotipia e l'ambrotipia, antiche tecniche fotografiche con cui crea delle visioni sfuggenti, in bilico tra l'astrazione e il ricordo delle forme create con i fotogrammi (quelli che comunemente vengono chiamati rayogrammi), con deboli tracce di oggetti familiari disseminate tra le immagini.
Spesso le cosiddette tecniche alternative vengono utilizzate in fotografia per mostrarci ciò che conosciamo attraverso il filtro magico di superfici graffiate, piene di sapienti imperfezioni, nobile vernice di un'antichità che non appartiene realmente alle immagini: qui al contrario raccolgono frammenti irriconoscibili, luoghi e momenti che non possiamo ricordare, tempo che non fa distinzione tra passato e futuro.

(via Tales of Light di Heidi Romano)


All images taken from Perimeter, 2009 © Michelle Kloehn

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Thursday, August 19, 2010

The art of framing


I've always been skeptical about photographs relying heavily on graphic effects, like flattening surfaces one on top of the other, or showing things through fences, wires or any other kind of grids. Usually these solutions reduce the depth of an image and leave the viewer to just play with mere compositions of lines, making the photograph look more like a graphic design rather than a tridimensional scene.
Then I discoverd Luis Mallo and his work In Camera, where he creates some kind of poetry with urban views filtered through construction site walls, steel grids, plastic covers and any other kind of 'urban' surface. What often merely ends up being an easy trick of composition, in his images it often leads to a true transfiguration of things, where the view of a white van can be as eerie as finding ourselves in front of a ghost.

And as if that wasn't enough, Mallo managed to make great images also from another trite subject matter, putting new life in it: public transport Passengers.


Ho sempre diffidato di fotografie che usassero pesantemente effetti cosiddetti grafici, come l'appiattimento di superfici una sull'altra, oppure fotografare attraverso recinti, reti metalliche, o varie altre griglie di sorta. Di solito sono immagini dove si perde ogni sensazione di profondità, e restano solo composizioni di linee che fanno sembrare l'immagine più come una geometria che come una scena tridimensionale.
Poi ho scoperto Luis Mallo e il suo lavoro In Camera, dove riesce a fare della poesia con vedute urbane attraversi muri di cantieri, griglie metalliche, coperture di plastica. Quello che spesso rimane un semplice trucco compositivo, nelle sue immagini a volte porta a una reale trasfigurazione delle cose, dove la vista di un furgone bianco può essere straniante quanto l'apparizione di un fantasma.

E come se non bastasse, Mallo è riuscito a creare qualcosa anche con il più abusato dei temi fotografici, dandogli nuova vita: ritratti (grosso modo) di passeggeri di mezzi pubbblici, nella serie Passengers.


All images taken from In Camera © Luis Mallo

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Tuesday, August 17, 2010

Grey visions

Chris McCaw, Sunburned GSP#193 (SF Bay), 2007

Today I ran across three works pushing b/w towards an extreme transfiguration of light, each of them in its onw peculiar way, from the dark tales of coal miners by Colette Campell-Jones to the sunburnt paper negatives of Chris McCaw (also here), to end with the apocalyptic storms by Mitch Dobrowner.

Dark bedtime stories, you just need to light a candle and then enjoy.

Colette Campell-Jones, Left In, 2009

Oggi ho scoperto tre diversi artisti che spingono il bianco e nero verso una trasfigurazione estrema della luce, ognuno a modo proprio, dalle oscure storie di minatori di Colette Campell-Jones ai negativi bruciati dal sole di Chris McCaw (anche qui), per chiudere con le tempeste apocalittiche di Mitch Dobrowner.

Tre favole nere per la buonanotte, accendete una candela e buona visione.

Mitch Dobrowner, Clouds, 2010

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Monday, August 16, 2010

Embarrassed landscapes

Fabio Barile, Among

Sea erosion, illicit housing, abandoned places, small villages torn between scattered memories and depopulation, new communities, mass tourism, real estate: what is the image that slowly takes form through all the missing pieces, is there an end point to this search that can reveal what Italy is today?

Albrecht Tübke, Pulica

That's what the newborn Documentary Platform has set as its endless task, gathering a remarkable (and open-ended) variety of photographic contributions in the attempt to draw that greater picture that many of us, living in this country, want to see.

Throughout the many different photographers, what strikes me most is the general common attitude I see in their images: a dedicated approach, a pensive visual language, the feeling that all these photographers perceive photography as a duty, an office that carries responsibilities and requires an ethic - still a personal work, but at the same time almost a service for the civil society.

Guillaume Greff, Zoldo

"We believe that photography, as an aware observation of transformations and a widespread practice of appropriation, may play an ethical and even political role in learning to see contemporary society."

Many people hope the same, I will reply with a quote by German director Werner Herzog:

"We comprehend that nuclear power is a real danger for mankind, that over-crowding of the planet is the greatest danger of all. We have understood that the destruction of the environment is another enormous danger. But I truly believe that the lack of adequate imagery is a danger of the same magnitude. It is as serious a defect as being without memory. What have we done to our images? What have we done to our embarrassed landscapes? I have said this before and will repeat it again as long as I am able to talk: if we do not develop adequate images we will die out like dinosaurs".

Michele Cera, Taccone

Erosione delle coste, costruzioni abusive, luoghi abbandonati, paesi divisi tra memorie disperse e spopolamento, nuove comunità, turismo di massa: qual'è l'immagine che lentamente prende forma dai pezzi mancanti, esiste un approdo che riveli qual'è l'immagine dell'Italia di oggi?

Gabriele Rossi, Litorale

Questo si chiede la neonata Documentary Platform, una missione senza fine che raccoglie una notevole (e sempre aperta) varietà di contributi fotografici nel tentativo di tracciare quel quadro che tanti di noi, vivendo in questo paese, vorrebbero vedere.

Guardando i diversi lavori quello che mi colpisce è un'attitudine generale che vedo nelle tante immagini: una dedizione, un lunguaggio che interroga, la sensazione che tutti questi fotografi vivano davvero la fotografia come un compito, un'onere che porta responsabilità e richiede un'etica; sempre un lavoro personale, ma comunque vissuto come un servizio per la società civile.

"Crediamo che la fotografia, come osservazione consapevole delle trasformazioni e come pratica diffusa di appropriazione, possa giocare un ruolo etico e persino politico nell'imparare a guardare la società contemporanea".

In molti sperano lo stesso, e si può rispondere con un'altra citazione, dal regista tedesco Werner Herzog:

"Sappiamo che il nucleare è una reale minaccia per l'umanità, come sappiamo che la sovrappopolazione del pianeta è il più grande dei pericoli. Abbiamo capito che la devastazione dell'ambiente è un'altro pericolo enorme. Ma io credo che la mancanza di un immaginario sia una minaccia di uguale portata. È una carenza grave tanto quanto il non avere memoria. Che cosa abbiamo fatto alle nostre immagini? Che cosa abbiamo fatto ai nostri paesaggi offesi? Lo ripeterò finché sarò in grado di parlare: se non sviluppiamo immagini adeguate ci estingueremo come i dinosauri".

Federico Covre, Ma qui non c'è niente!

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Saturday, August 14, 2010

Foreign landscapes

Marco Zanta has recently launched his brand new website, with almost no words to introduce the images, except for a title that says a lot, considering his first exhibition dates back to 1987: '2009-2011'. If we have always been quite used to perceive landscape photography as a tool to read the space around us, here we are often in front of inner landscapes hidden behind straight lines, blank surfaces, unfinished shapes.
A territory under construction, where objects have not yet achieved a full meaning, places depicted in the shape of a question: after years of thorough ivestigation of the urban and the industrial universe, Marco Zanta somehow chooses to start anew, going back to his usual places but with new eyes, bravely questioning a world that seem to speak a foreign language.

Marco Zanta ha da poco inaugurato il suo nuovo sito, praticamente privo di parole a introdurre le immagini e con un titolo che dice molto, considerando che la sua prima mostra risale al 1987: '2009-2011'. Se ormai siamo abituati a pensare alla fotografia di paesaggio come uno strumento per leggere il mondo attorno a noi, qui invece ci troviamo spesso di fronte a dei paesaggi interiori nascosti dietro linee nette, superfici uniformi, forme incompiute.
Un territorio in costruzione, dove gli oggetti a volte non hanno ancora una chiara funzione, luoghi in forma di domande: dopo anni di scrupolosa indagine dell'universo urbano e industriale, Marco Zanta in qualche modo ricomincia da capo, tornando nei suoi spazi abituali ma con occhi nuovi, interrogando coraggiosamente un mondo che sembra parlare una lingua straniera.

All images © Marco Zanta

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Wednesday, August 4, 2010

The science of debris

Quiet Transfer

Rachel Cunningham tends to choose wide subject matters or places to condense them in short sequences, often combining the representation of those places or landscapes with still lifes. Quiet Transfer, for example, is a work made of just a panoramic view of Jerusalem and six images of remains of demolished houses, aiming at "the combination of a research into the present and an attempt to understand how the colonial interest in the Middle East, and particularly the British involvement in Palestine, shaped a certain image of the city and its landscape".

I guess Broomberg & Chanarin might quite appreciate an effort of this kind.

The Prag Mahal

Rachel Cunningham sceglie spesso vasti temi e luoghi per poi condensarli in brevi sequenze, combinando la rappresentazione di luoghi e paesaggi con immagini di still life. Quiet Transfer, ad esempio, è un lavoro composto soltanto di una veduta panoramica di Gerusalemme e di sei immagini di resti di case demolite, "l'unione di una ricerca sul momento presente con il tentativo di comprendere come gli interessi coloniali in Medio Oriente e in particolare la presenza britannica in Palestina abbiano plasmato una certa immagine della città e del suo paesaggio".

Credo proprio che Broomberg & Chanarin apprezzerebbero molto un'impresa di questo tipo.

Quiet Transfer

All images © Rachel Cunningham

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Sunday, August 1, 2010

Philosophic landscape


An imaginary dialogue with Gabriel Benaim, an apprentice philosopher who turned to photography:
"Against Duchamp, I believe in retinal art, and attempt in my work to avoid preconceptions and formulas. For me, the visual is primary, and I expect any work of art, especially my own, to stand on its own visually, without recourse to an intellectual or even conceptual scheme."

- Those of you who have been hanging around here for some time might have guessed that I'm a fiend for this kind of statements, just because they allow me to indulge in my reluctance to consider the subject matter as the real drive behind a solid photographic work.

"Following Duchamp, I do see in the Ready-made a paradigm for how one should approach photography, in the sense that photographing creates a new version of an existing subject. The act of framing transposes a commonplace object into a work of art, if done successfully, and this transposition is for me the point of photographing."

- But while the Ready-made puts the viewer in front of the new nature of an object due to its displacement from an ordinary context, in photography aren't we constantly facing the risk that our viewer might cover this displacement with an act of memory triggered by the photograph? Photography is always on the border between memory and wonder, or memory and perception, isn't it? How can we make sure that the latter will prevail on the former?

Maybe this conflict, this tension is exactly what fuels Benaim's landscape work, where he seems to be constantly shifting from trying to sum up and frame the space in front of the camera to rather letting it flow, disperse, almost disappear out of the borders of the image.


Un dialogo immaginario con Gabriel Benaim, un apprendista filosofo che ha scelto di dedicarsi alla fotografia:

"Contrariamente a Duchamp, io credo nell'arte retinica, e nel mio lavoro cerco di evitare ogni tipo di preconcetto o formula. La dimensione visuale è primaria e credo che ogni opera d'arte, soprattutto il mio stesso lavoro, debba avere un'autonomia visiva, senza ricorrere a schemi intellettuali o concettuali."

- Chi mi legge da un po' di tempo sa che ho un debole per questo tipo di dichiarazioni d'intenti, non foss'altro perché mi permettono di indugiare nella mia riluttanza a considerare il soggetto, il tema come il motore fondamentale di un buon lavoro fotografico.

"Insieme a Duchamp, ritengo che il Ready-made sia un paradigma per pensare la fotografia, nel senso che fotografare crea una nuova versione di qualcosa di già esistente. L'atto di inquadrare, se realizzato efficacemente, traduce un oggetto comune in un'opera d'arte e questa trasposizione è per me il cuore della fotografia."

- Ma mentre il Ready-made pone chi guarda di fronte a un oggetto la cui natura è mutata per via del suo spostamento da un contesto ordinario a uno straordinario, in fotografia non siamo ogni volta di fronte al rischio che questa decontestualizzazione venga coperta da un atto di memoria innescato appunto dall'immagine fotografata? Non ci troviamo sempre in una zona di confine tra memoria e scoperta, tra memoria e percezione? Come essere sicuri che questa prevalga sui nostri ricordi?

Forse proprio questo conflitto, questa tensione è ciò che anima le immagini di Benaim, sempre in bilico tra un tentativo di riassumere e racchiudere lo spazio di fronte all'obbiettivo e un desiderio di lasciarlo scorrere, disperdere, quasi farlo scomparire oltre i bordi dell'immagine.


All images taken from Tel Aviv at 100 © Gabriel Benaim

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Little Big Press


My volcanic friends of 3/3 have recently launched the call for submissions for their latest stunt, Little Big Press, an exhibition dedicated to the world of independent photobook publishing. So, all of you who burned cash in the noble attempt to show that another publishing world is possible, make yourself heard and flash your paper treasures! Below is the full text of the project launch, deadline for submissions is September 27.

Le mie vulcaniche amiche di 3/3 hanno da poco lanciato la chiamata a raccolta per il loro ultimo colpo, Little Big Press, una mostra dedicata al mondo dell'editoria fotografica indipendente. Quindi per tutti quelli che tra voi hanno investito nel nobile tentativo di dimostrare che un altro mondo editoriale è possibile, fatevi sentire e mostrate i vostri preziosi tesori di carta! Di seguito il testo integrale del lancio del progetto, la scadenza del bando è il 27 settembre.

"Little big press­ exhibition aims to survey the tendencies that, during the last few years, changed thoroughly the world of photobook publishings.

A more and more increasing vitality is directing photobook evolution towards an independent, self published and scale reduced position, giving life to independent photobooks or fanzines, while small publishing houses are becoming more and more active and prolific all around the world.

Publishing-crazy photographers, from Alec Soth with his Little Brown Mushroom, to Jason Fulford, enlightened founder of J&L, or Stephen Gill and his Nobody Books, decide to work independently on photobooks and put out, through small publishing houses, self productions parallel or tangent to the most important publishers’ products. Some, as Katia Stucke and Olivier Sieber of Bohm Kobayashi, making experiments with video; others start from collective experiences on the web, as the Italian fanzine 0-100 or just develop multifaceted auto-productions, as Joachim Schmidt or Luca Donnini.

A freedom that allows free researches on materials, composition, print quality, and binding peculiarity, giving an experimental and constructive approach that represents the most interesting and stimulating aspect of contemporary photobook.

The books collected on the occasion of the exhibition will be the first contribution for Officine Fotografiche independent photobook archive, a library project curated by 3/3, based on free consultation and annual-based exhibitions."

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